Questo post è indirizzato alle comunicatrici e ai comunicatori, alle e ai blogger, wine influencer, giornaliste e giornalisti del vino che ancora usano il maschile sovraesteso in testi e discussioni.
Rapida premessa
La questione e la discussione linguistica è complessa e, fortunatamente ed eternamente, in evoluzione. Arroccarsi non ha senso: non è vero che dobbiamo preservare una tradizione a tutti i costi, e porsi delle domande cercando di migliorarsi non ha nulla a che fare con l’opaco concetto di “politicamente corretto”, anzi.
Ti ricordo che non parliamo e non scriviamo come ai tempi di Dante, da un bel pezzo.
Ma procediamo in maniera ordinata.
Cosa è il maschile sovraesteso? E perché è un problema.
In italiano non esiste il genere neutro, ma solo maschile e femminile. Per una consolidata e condivisa norma basata sulla storica impronta patriarcale della nostra società, quando si tratta di descrivere o raccontare realtà miste (composte da maschi e femmine), si decide di adottare il genere maschile. Lo si sovraestende a tutto il gruppo, anche in situazioni di assoluta minoranza maschile o, paradossalmente, di totale assenza.
Fai caso a formule come “i politici”, “i passeggeri”, “gli spettatori”, “i vignaioli” e via dicendo.
Il maschile sovraesteso fa male per diversi motivi:
- continua a proporre e promuovere ciecamente un modello
- non rappresenta minimamente la diversità che caratterizza la nostra società attuale (ma nemmeno quella passata in verità)
- non permette di rappresentare e raccontare degnamente storie di persone che esistono
- non concorre a migliorare il mondo, lo lascia così come è, fallocentrico
Chi fa vino oggi (e lo faceva anche ieri ma non se ne parlava)?
Il vino lo fanno le persone, queste persone a volte sono uomini, a volte donne, a volte individui che non si riconoscono in questa classificazione binaria.
Non è questa la sede per parlare di diversità e inclusione in maniera approfondita. Non sarei in grado di esaurire gli argomenti, e temo nemmeno all’altezza. Non parlerò quindi di generi non binari, persone transessuali, etc.
Mi limito, e da un lato me ne scuso dall’altro sono fiero di offrire il mio contributo, a parlare di donne e non solo di uomini, a scrivere e discutere anche al femminile e non solo al maschile. Per il mondo del vino mi sembra già tanto.
Ogni giorno leggo e ascolto contenuti a tema vino prodotti da chi il vino lo fa, da chi lo comunica e da chi lo vende. Rilevo che nessuno (o in pochi e forse non li conosco) fa oggi lo sforzo di comprendere nella propria comunicazione la declinazione femminile, ripeto esistente da sempre, del mondo enoico.
Siamo sommersi da vignaioli, produttori, enologi, degustatori, assaggiatori, comunicatori, giornalisti, direttori, ristoratori, e via dicendo. Possibile che non ci rendiamo conto che stiamo, anche inconsapevolmente ma inesorabilmente, ignorando parte dell’esistente, che siamo soffocando narrazioni, che stiamo escludendo rappresentazioni?
L’obiezione (che non regge)
In molti sostengono che alcune norme valgono perché “si è sempre fatto così”. Oppure perché la lingua italiana non prevede alternative, a livello soprattutto professionale.
Non è vero. La lingua italiana prevede il femminile eccome. Il fatto che ad alcuni suoni male dire “enologa” è solo perché non siamo abituati a farlo dato che storicamente alcune professioni erano appannaggio dei soli uomini.
Pensa alla parola “avvocata”, corretto femminile di “avvocato” che inizia solo ora a non sembrare tanto strano ma che ancora provoca resistenze.
Usare il femminile non è dunque solo la corretta scelta linguistica (al di là di ogni opinione personale), ma significa soprattutto riconoscere e dare valore alle tante donne del vino.
Un invito
Con questo post parlo all’intera filiera ma mi rivolgo in maniera più decisa e pressante a chi fa il mio mestiere. Chi comunica, e ancor di più chi pretende di insegnare ad altre e ad altri come comunicare, ha una responsabilità in più, quella di migliorare un presente e costruire un futuro, anche fosse solo tramite l’approccio con cui scrive le caption di Instagram.
A livello testuale scritto non entro qui nel merito di quale possa essere la soluzione migliore, se riferirsi a entrambi i generi, ricorrere alla schwa o all’asterisco, revisionare strutturalmente le tue frasi. Scegli la soluzione che ritieni più adatta alle tue esigenze ma adottatene una, e in fretta, ché produttrici e vignaiole è da un po’ che aspettano all’ombra di sostantivi e aggettivi maschili buttati lì per molle abitudine.
Se non vuoi ascoltare me, ascolta loro
Qui io comunque non basto, non sono sufficiente, serve l’aiuto di professioniste e professionisti. Loro sapranno convincerti, e sono certo che leggendo questi due saggi, immediati ma non banali, diventerai una comunicatrice o un comunicatore più consapevole e, forse addirittura, una persona migliore.
I due saggi torridamente consigliati sono:
- Scrivi e lascia vivere. Manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile di Valentina Di Michele, Andrea Fiacchi, Alice Orrù
- In altre parole. Dizionario minimo di diversità di Fabrizio Acanfora
E da domani (meglio da adesso), includi vignaiole, produttrici, enologhe, direttrici di cantina nelle tue narrazioni. Le nostre figlie e i nostri figli ringrazieranno per l’eredità di un linguaggio maggiormente inclusivo e, a differenza di molti, non avranno semplicemente nulla da obiettare.
Immagine in evidenza realizzata con Midjourney
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com