Narrare il vino è cosa che fanno quasi tutti, più o meno bene, con o senza obiettivi, consapevolmente o inconsapevolmente, con convinzione o per necessità.
Narrare il vino non è una cosa solo da influencer o da consulenti, è prima di tutto un affare dei produttori. Anche se in troppi ancora non curano, o peggio ancora snobbano, questo aspetto comunicativo che fa parte integrante della presenza sui mercati.
Narrare il vino è una cosa apparentemente semplice; luogo comune il fatto che basti raccontare qualcosa di sé, dell’azienda, della storia, della famiglia, dell’uva e del territorio, e il gioco è fatto.
Siamo sommersi da narrazioni di questo tipo, narrazioni fatte tanto per narrare. Ma tutto questo non basta, non serve, non cambia la percezione di un brand o di un prodotto. Soprattutto non aiuta a trasformare un’azienda in un brand.
L’attività del narrare il vino a scopo marketing o commerciale deve necessariamente poggiare su una base strategica, fatta di obiettivi, pianificazioni, monitoraggio e misurazione.
Oggi le narrazioni hanno occupato uno spazio nella società che supera di gran lunga quello presidiato della realtà. L’epoca della post verità, dello storytelling frainteso e abusato, della comunicazione cotta e mangiata ha appiattito i panorami e sfumato i confini.
La narrazione con la N maiuscola implica dunque sì visione strategica ma anche responsabilità, onestà, coerenza e chiarezza, tutti aspetti oggi sottostimati, reclusi nell’ultimo cassetto delle cose da fare per ottenere like, visite, contatti.
Il risultato è che molte narrazioni del vino oggi, anche da parte delle stesse aziende, sono spesso ritoccate, semplificate o estremizzate, monche, dopate o, nel peggiore dei casi, totalmente avulse dalla realtà dei fatti (nei casi più estremi grazie all’utilizzo di immagini di repertorio e testi copia incolla).
In molti casi, questo tipo di narrazione viene intensivamente proposto al pubblico, ai lettori, agli ascoltatori, ai follower, che lo accettano spesso senza spirito critico, che lo fanno proprio e, se si tratta di una narrazione efficace e ben costruita, la tramandano, così come gli è arrivata, ad amici, conoscenti, collegamenti digitali.
Dobbiamo quindi smetterla di concepire la comunicazione come un obbligo, dobbiamo smetterla di demandare ad altri la nostra voce invece di imparare a usarla, dobbiamo smetterla di denigrare lo storytelling del vino.
Come ci ricorda Kotlel: “Se non sei un Brand, diventi merce. E quando sei merce, è solo il prezzo che conta“. E un brand del vino oggi si costruisce anche e molto grazie alla narrazione onesta, personale, progettata, pianificata, diffusa e costante della propria realtà.
Ora fai un esercizio: ogni volta che penserai a un’azienda del vino, la tua compresa, domandati se quella che hai di fronte è un’azienda, che produce anche ottimi vini, o un brand riconoscibile e riconosciuto. Ti renderai conto che di aziende e prodotti è pieno il mondo, mentre di solidi brand che generano nei consumatori riconoscibilità e condivisione di valori, affezione alla marca e fidelizzazione all’acquisto, ce ne sono molti di meno.
Infine domandati cosa vuoi diventare domani, una merce o un brand? Se conosco la risposta, allora inizia a raccontarti. Siamo tutto orecchi.
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
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