Analisi critica di un social che funziona, che cresce, che coinvolge, ma che nasconde qualche scheletro di troppo nell’armadio.
Ok, titolo e sottotitolo sono volutamente forti. Forti ma non ingannevoli.
Vediamo perché c’è del vero, perché c’è realmente del marcio in Instagram e perché a Instagram non sembra poi importare molto di proporre delle soluzioni concrete e definitive ai propri problemucci.
Antefatto
Nelle ultime settimane mi sono imbattuto in un paio di contenuti video riguardanti Instagram che mi hanno particolarmente colpito. Uno più datato (di gennaio di quest’anno), che avevo già visto ma che i social hanno deciso di ripropormi (subdoli algoritmi), e uno ben più recente.
I video sono di due noti e affermati professionisti della comunicazione digitale, Rudy Bandiera e Marco Montemagno, e sollevano problemi differenti ma complementari di Instagram, molto sentiti ma spesso poco discussi o, forse meglio, ignorati perché tacitamente accettati dalla community stessa.
Le tesi principali contenute nei due video sono le seguenti (poi i video te li linko; non scalpitare e segui me che poi parlo anche di vino):
- la base tecnologica della piattaforma è viziata perché si sa che senza bot certi numeri non si raggiungono (a meno che tu non sia già una celebrità o un personaggio noto); quindi Instagram è un “banco truccato” dove tutti conoscono le magagne (tutti tranne chi ignaro osserva, il pubblico) e tutti tacciono
- i contenuti presentati dalle persone sono viziati perché: 1. espongono solamente una parte dell’esistente, spesso romanzata o edulcorata, allo scopo di far apparire meravigliose vite che sono in realtà ordinarie, con un gap percettivo non indifferente, soprattutto se replicato su centinaia di migliaia di profili, tutti i giorni, innumerevoli volte al giorno; 2. spesso sono frutto di profili virtuali, di algoritmi, non di persone reali
I vizi di Instagram
Doppio vizio quindi: della piattaforma e di buona parte dei contenuti in essa presenti.
E anche se è assolutamente corretto fare i giusti distinguo (c’è ovviamente del buono e del bello, e ne ho parlato più volte) e non incorrere nell’errore di fare di tutta l’erba un fascio, è anche vero che il canale, se osservato da un punto panoramico, si presenta esattamente come appena descritto.
Dal punto di vista tecnologico Instagram è un genitore che abbaia quotidianamente promesse di punizioni che regolarmente non arrivano o arrivano in maniera molto blanda.
Non contento, è anche il genitore che ti dice che fumare fa male ma intanto ti infila sigarette e accendino nella tasca dei pantaloni.
Automatismi, bot, tecniche non ortodosse per aumentare follower e truccare l’engagement sono all’ordine del giorno, vietate ma permesse, e fanno male a un sistema che più prosegue in questa direzione più si contamina con profili falsi, inattivi, virtuali e interazioni fatte da algoritmi e non da persone.
L’altro lato dell’opaca medaglia Instagram è rappresentato dai contenuti, anch’essi spesso non reali, non personalmente prodotti, taroccati, “presi in prestito” da altri profili.
E non parlo del discutibile ma libero desiderio di fotografare una versione migliore ed edulcorata della propria vita, quella che Montemagno definisce acutamente “una proiezione dell’inesistente”.
Qui mi riferisco al fenomeno delle immagini prese da altri profili, acquistate, trafugate da siti di minore importanza e riproposte sui propri.
Parlando di vino, potremmo citare le migliaia di bottiglie fotografate e non stappate perché troppo care per le tasche di chi le impugna, le emozionali immagini di vigneti californiani prese da qualche altro profilo e postate dal divano del proprio appartamento milanese, taggandosi però in Napa Valley, e via dicendo.
Che valore attribuiamo a tutto questo, se non la miope capacità di creare, dal nulla, un qualche indotto di visibilità?
Ecco che il tema del contenuti apre le porte a ulteriori riflessioni.
In quanti modi si può fotografare una bottiglia di vino?
Questa è una domanda che mi pongo spesso mentre, più o meno distrattamente (o se preferisci attentamente), scorro il mio feed Instagram.
Sono indubbiamente un utente “particolare”, dovendo necessariamente per lavoro seguire cantine, vignaioli, blogger, giornalisti, comunicatori e wine influencer con un occhio più che vigile.
Certo è che il contenuto bottiglia di vino impugnata, posata in vigna in primavera e nella neve d’inverno, zoomata sull’etichetta, sciabolata se parliamo di spumante, è veramente un oceano uniforme e piuttosto piatto, dove piccole onde di originalità riescono nell’arduo intento di far rallentare lo scorrere del pollice.
Tanto più che, per il principio che si tende ad emulare chi si apprezza e chi “funziona”, se iniziamo a vedere qualche immagine leggermente diversa o diversamente contestualizzata, ci assale la tentazione di provare anche noi quella luce, quel taglio, quell’ambientazione.
[fai caso a quante immagini di calici roteanti con vino fissato in scenografica uscita hai visto ultimamente immortalate in Instagram]
Il problema dell’appiattimento del contenuti, della sua ripetitiva monotonia, non appartiene solo ai post ma anche, e forse di più, alle stories e alle dirette, che presentano spesso contenuti improvvisati, privi di un reale valore, zoppicanti nella tecnica e nei contenuti, fatti tanto per fare, perché potere è diventato per forza dovere.
Come spezzare il circolo vizioso
Tu che fai vino dovresti saperlo che una sola bottiglia non può cambiare il mondo.
Tante bottiglie, per tante e diverse annate, prodotte in base a una precisa filosofia produttiva, possono fare qualcosa, a volte anche cambiare il proprio mondo e quello di chi quel vino lo consuma.
Lo stesso vale per la comunicazione digitale.
Il singolo contenuto probabilmente non può nulla. Un insieme coeso, coerente e originale di contenuti in un lungo periodo di tempo, in base a una precisa strategia, può contribuire alla creazione di un brand vinicolo solido e riconoscibile.
Una soglia di attenzione ridotta al minimo, una quantità di contenuti indefinita, il tutto unito a un monotono appiattimento della comunicazione non aiuta certo la tua azienda a spiccare, a far breccia, a farsi ricordare.
Un vigneto al tramonto piace a tutti. Ma quando quei tutti fanno un like alla tua immagine lo stanno facendo a te, alla tua azienda, o a un generico tramonto in vigna?
Se un consumatore non sposa solamente un’emozione, per definizione aleatoria e mutevole, bensì un marchio, un’idea, allora hai fatto bingo. Ma per tutto questo servono contenuti originali, per tanto tempo, su molteplici canali, in base a un’idea di sé che non tutti hanno o riescono a costruirsi.
E per contenuti originali non intendo solo e banalmente differenti, ma anche propri, proprietari, non unicamente demandati a terzi (consulenti, agenzie, influencer) produttori di contenuti a catena di montaggio, difficilmente distinguibili gli uni dagli altri.
Instagram oggi è tutto questo. È il supermercato ampio e affollato dove entri perché ti serve qualcosa ed esci con il carrello pieno di cose che non avevi intenzione di comprare.
Tutto questo non fa bene alla comunicazione del vino, non fa bene a chi la produce e a chi la subisce, non fa bene alla qualità dei contenuti e all’algoritmo, non fa bene alle aziende. E infatti pochi brand del vino riescono a costruirsi, nel tempo, una solida, personale e fedele community. Mentre è pieno di cantine con tanti follower.
E tu? Preferisci apparire o lasciare un segno e rimanere?
Fonti:
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com
6 Responses
Grazie mille per la citazione e per l’interessante articolo che ho twittato
Grazie a te Rudy, perché offri sempre preziosi spunti di riflessione
Interessante come al solito.
Ovviamente io faccio vino ed Instagram era al 567simo posto nella lista dei miei interessi quotidiani.
Capita però che io abbia una nuora che è marketing manager di una grossissima azienda (roba farmaceutica, di vino non ne capisce nulla) che ha cominciato ad insistere perché usassi Instagram come mezzo di comunicazione della nostra azienda e del nostro vino. Dai e dai (pensavo di non avere tempo) ho sempre rifiutato finché non ho letto uno dei tuoi articoli in cui parlavi delle tecniche di follow/ unfollow, ninjalitics falsi profili e falsi followers ed altre cose che oltre a convincermi del fatto che sarebbe stata una perdita di tempo, mi hanno convinto a cominciare a comunicare la mia azienda in Instagram.
Ed ho raccolto la sfida di mia nuora (che è giovane, carina, i viaggi in posti mozzafiato li fa davvero e fotografa piatti prelibati in ristoranti stellati)
Io sono schiava della mia vigna, neppure particolarmente grande per cui alla fine vedrai sempre le stesse inquadrature, le stesse persone, gli stessi animali, le stesse bottiglie….anzi di bottiglie e di calici (non roteanti) ne vedi abbastanza pochi, i tramonti pure scarseggiano perché a quell’ora sto preparando la cena.
Che ti devo dire? Anche così io trovo che la mia vita sia davvero unica ed interessante e mi viene difficile di seguire il ritmo di un post al giorno che mi sono imposta perché ogni giorno trovo cose interessanti da condividere. Interessanti per me è ovvio.
Che ti devo dire? Mio marito dice che offro un immagine della nostra azienda per nulla professionale e nessuno ci prende sul serio perché invece dell’immagine patinata offro quella di due svitati un po’ folk.
Ma è quello che siamo e non voglio deludere nessuno, intanto u su Instagram ho conosciuto una cantina in Oregon con cui abbiamo fatto un gemellaggio e quando andiamo ale fiere capita sempre qualcuno che voleva assolutamente conoscerci perché ci segue su Instagram… solo non decine di migliaia. Ma chi se ne frega?
No, no, lo so che bisogna fregarsene dell’immagine che si da della propria attività ma se è fasulla che senso ha?
Cara Claudia, da quello che leggo mi sembra però di capire che, nei giusti limiti di tempo dati dal lavoro in vigna e in cantina, offrite una rappresentazione autentica della vostra realtà in Instagram (realtà che già seguivo). Questo è sempre un bene. Questo e la costanza di proseguire onestamente e coerentemente un percorso nel tempo, fregandosene anche un po’ dei numeri 🙂
Ottimo articolo e grandi spunti. Sono perfettamente d’accordo!
Grazie Dario!