Sono partiti e non li ferma più nessuno. Il consumatore li ha scoperti e li chiede con sempre maggiore frequenza. Nei ristoranti qualcuno inizia a sceglierli per accompagnare l’intero pasto. Sto parlando dei vini rosati. Fermi, charmat o metodo classico poco importa, l’importante è che siano rosa.
Questa del rosé sembra (vedremo poi se lo è veramente) a tutti gli effetti un fenomeno di moda, almeno su larga scala, e nulla toglie a chi nei vini rosati ci ha sempre creduto o a tutte quelle denominazioni storicamente vocate alla produzione di rosati (io che abito a Brescia ne so qualcosa, con il Chiaretto di Moniga del Garda, per citare il rosato più noto della zona).
Qui però si vuole indagare prima di tutto il fenomeno di massa, promosso da quel popolo di consumatori che ha sempre guardato ai rosati con un pizzico di diffidenza, magari inconsapevolmente tacciandoli di inferiorità rispetto ai più netti e decisi bianchi e rossi, e che ora sembra essere preso da una specie di “febbre del rosa” che li porta a cercare, assaggiare e condividere rosé non appena se ne presenta l’occasione.
A far da traino alla vecchia guarda dei bevitori non più di primo pelo ci sono i più giovani, che nei rosati non trovano soltanto vini gradevoli, freschi e tendenzialmente poco impegnativi, ma anche un qualcosa di cool, di sexy, di fotogenico, di condivisibile.
E se il vino blu sembra finalmente dimenticato o comunque relegato in un angolo, e gli orange wine stanno muovendo i primi passi nelle preferenze di consumatori evoluti, i rosati godono di una salute di ferro e di una splendida forma, facendo bella mostra di sé nei social network e tra le pagine web delle riviste online più cool.
Qualche numero
Come sempre cerchiamo prima di tutto di inquadrare il fenomeno grazie ai numeri, così da farci una chiara idea di cosa significa oggi parlare di vini rosati nel mondo.
La produzione mondiale di rosati è arrivata a quota 23,6 milioni di ettolitri. Il 31% proviene della Francia, mentre l’Italia è al quarto posto con il suo 11%.
In UK si è registrata un’impennata nei consumi nell’ultimo anno, nell’ordine di oltre il 100%. A spingere il mercato sembra aver concorso anche la moda del “rosé frosé”: un cocktail con ghiaccio, vino rosato, succo di limone e zucchero.
Le vendite di vini rosati negli Stati Uniti sono quintuplicate tra il 2009 e il 2015 (loro partono sempre un pochino prima degli altri quando si tratta di tracciare una via).
I principali consumatori di rosé sono i Paesi dell’Europa occidentale, storicamente produttori di vino, e gli Stati Uniti che continuano a mantenere consumi stabili, mentre emergono nuovi Paesi come Regno Unito, Svezia, Cina (leggi Hong-Kong), Canada. I principali esportatori in valore sono la Francia (31%) e l’Italia (23%), davanti a Spagna (16%) e Usa (14%).
Secondo un’indagine condotta da Nomisma Wine Monitor, ad acquistare rosé in Italia sono donne per il 73% e uomini per il 67% ma, anche se la tendenza è in crescita, nel nostro paese pare si beva ancora poco rosato, solo 5 volte su 100.
Fonti: repubblica.it – vinitaly.com – Nomisma Wine Monitor
Uno sguardo alle ricerche online
L’ho forse presa un pochino larga, ma dare un’occhiata alle ricerche in Google negli ultimi 5 anni con riferimento alla chiave “rosé” (specificamente riferita alla categoria vino) ci aiuta ad avere una visione d’insieme della crescita dell’interesse avvenuta a livello mondiale negli ultimi 12 mesi, con un picco a giugno di quest’anno (leggi anche a inizio estate).
La crescita non è vertiginosa ma comunque molto evidente, e se Google ha seguito bene le mie indicazioni restringendo la ricerca alle categorie “Bevande alcoliche > Vino”, il dato non dovrebbe essere viziato dal nome di una delle voci del gruppo k-pop sudcoreano Blackpink, che si chiama per l’appunto Rosé, e che in molti hanno cercato in rete negli ultimi mesi.
A parte la curiosa omonimia sopra descritta, il dato di crescita è confermato anche dalle ricerche per la chiave “rosé wine”, che scioglie immediatamente ogni dubbio circa possibili contaminazioni nei dati da parte della cantante nordcoreana.
Un piacere “giovane”
In un mio precedente post circa il rapporto tra Generazione Z e vino, evidenziavo come la preferenza di gusto dei consumatori più giovani vada principalmente ai vini bianchi e rosati di facile beva, rispetto ai più complessi e corposi rossi.
Questa è ovviamente una semplificazione che non tiene conto dei grandi bianchi da invecchiamento, dei rosati strutturati, dell’esistenza dei macerati, etc etc. Diciamo che l’informazione è realistica sui grandi numeri. Realistica anche nella misura in cui rappresenta le preferenze di un target che deve ancora fare i conti con un’evoluzione del gusto che potrebbe portarli nel tempo ad apprezzare anche altre tipologie di vino. E su questo solo il domani ci darà una risposta, staremo a vedere.
I più giovani sono anche quelli più propensi e abituati a fotografare i vini bevuti, a condividere gli assaggi nei social network, genericamente a utilizzare gli strumenti digitali e la rete per far sapere al mondo che loro esistono e che è bello e fico bere rosati.
Questo dato è in controtendenza con un’altra direzione che riguarda invece i consumatori più maturi e consapevoli, un po’ Millennials e un po’ (meno) Baby Boomers.
Il consumatore consapevole richiede una maggiore qualità nel bicchiere, ricercando principalmente espressioni di rosé, ferme o spumanti, che siano in grado di lasciare un ricordo, suscitare un’emozione, accompagnare un pasto, accendere una discussione.
Due anime del rosa dunque, una più leggera e sbarazzina, adatta ai riflettori, e un’altra più matura e consapevole, perfetta per l’enoteca e la tavola chiacchiereccia.
Con il risultato che siamo tutti invogliati ad approfondire il mondo dei rosati come mai abbiamo fatto in precedenza, e con uno spirito di scoperta e una curiosità che sembrano ormai da tempo affievoliti per i più diffusi vini bianchi e rossi.
I rosé visti dalla rete e dai social network
#roséallday #winerose #rosewine #pinkwine e loro declinazioni.
Ecco alcuni dei più popolari hashtag che spopolano in Instagram in relazione ai vini rosati. Insieme aggregano una notevole quantità di contenuti fotografici con protagonisti i rosé di tutto il mondo, in tutte le possibili declinazioni e situazioni, ma tendenzialmente associati a concetti piuttosto frivoli e leggeri, da un lato spensierati e dall’altro festaioli.
Proprio sull’onda di questo grido giovanile alla gioia e alla leggerezza, qualcuno si è spinto oltre i limiti imposti dalla tradizione enologica, per immaginare un consumo alternativo del vino rosato.
Un esempio su tutti si chiama Electric Rosé, e non è nient’altro che un rosato, statunitense, costretto in un packaging da bevanda da sorseggiare a bordo piscina. Come dice chi lo ha fatto, Electric Rosé è durevole, portatile, versatile e divertente. Cosa volere di più?
Quelli che i rosati li hanno sempre fatti
Contro le mode, le tendenze, i riti e le luci di una ribalta sempre più cangiante, ci sono loro, i depositari della tradizione. Quelli che i rosati li hanno sempre fatti, e li hanno sempre vissuti come vini di pari dignità rispetto ai bianchi e ai rossi.
Dal Chiaretto di Moniga del Garda al Pinot Rosato dell’Oltrepò Pavese, dal Cerasuolo d’Abruzzo, ai rosati pugliesi di Negroamaro, Primitivo, Nero di Troia, fino all’unica DOCG nazionale, il Bombino Nero, la nostra penisola è ricca di territori che il rosato ce l’hanno scolpito nel dna.
Anche loro, pur parlando a un pubblico di consumatori più consapevole, preparato ed esigente, osservano un interesse crescente per le proprie produzioni in rosa.
Indicativo in questo senso è il sempre maggior successo di manifestazioni e fiere vinicole unicamente dedicate al mondo dei rosati, come ad esempio Roséxpo e Italia in Rosa, che vedono ogni anno un aumento di partecipanti curiosi e interessati.
Tiriamo le somme
Cosa ci insegna tutta questa lunga discussione sui rosati? Semplicemente che è bene considerare il fenomeno in tutte le sue espressioni, soprattutto considerando che, trattandosi di tendenze che coinvolgono quasi tutte le tipologie di consumatore e fasce d’età anche molto differenti, questa febbre del rosé potrebbe non essere tanto passeggera, soprattutto nel nostro paese.
Se già produci vino rosato goditi questo momento con consapevolezza e proattività. Considera di comunicare strategicamente al meglio il tuo rosato presso il tuo pubblico, nelle fiere, agli eventi, tramite la tua distribuzione.
Se invece non produci rosé non sono certo qui a dirti di metterti domani a produrne uno solo per inseguire una tendenza di mercato. Così non avrebbe alcun senso. Vero anche che se, per territorialità, uve, vinificazioni o tradizione, possiedi tutti i requisiti necessari a produrre un vino rosato identitario e di tutto rispetto, allora potrebbe non essere male valutare seriamente questa possibilità.
Altre fonti: pugliainrose.it – cosmopolitan.com
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com