Un post uscito su Wine-Searcher mi ha particolarmente colpito per un’affermazione del noto sommelier newyorkese Cedric Nicaise.
Nicaise ha intelligentemente osservato che i viticoltori di Bordeaux rischiano di saltare una generazione di consumatori.
Vediamo di capire meglio cosa intendeva esattamente dire, e perché la cosa è rilevante per te che fai vino e vuoi comunicarlo in rete e nei social.
Il caso Bordeaux
Come noto, i vini di Bordeaux non sono propriamente economici. La percezione generale dell’immagine e del posizionamento dei prodotti, a livello di mercato, è inoltre piuttosto vecchiotta.
L’unione di questi due fattori, prezzo medio elevato e immagine “anzianotta”, non fa che allontanare dalla denominazione i consumatori più giovani (non giovanissimi), quei millennial che si stanno definitivamente sostituendo ai baby boomer ma che, rispetto alla generazione precedente, possiedono caratteristiche specifiche che non li rendono altrettanto appetibili per le aziende del vino storiche e di fascia di prezzo medio alta.
[Ricordo che i millennial sono i nati tra i primi anni ’80 e la fine anni ’90, hanno quindi dai 30 ai 40 anni circa.]
Il disinteresse sembra dunque reciproco.
I millennial vogliono spendere meno e sperimentare vini sempre nuovi, i viticoltori di Bordeaux (e non solo ovviamente) mirano a vendere vino a chi sa dimostrare fedeltà a un brand e può permettersi l’acquisto delle pregiate bottiglie.
Ma siccome tutto il mondo vinicolo (in certe dinamiche) è paese, e dato che i produttori non possono ignorare i nuovi consumatori, continuando a vendere vino a una generazione in lenta estinzione, qualcosa si sta muovendo a livello di comunicazione.
A Bordeaux, e non solo, ci stanno insomma provando a dialogare con questi poveri squattrinati millennial, e la cosa è abbastanza evidente osservando la comunicazione Instagram di consorzi e associazioni della Côtes du Rhône o della Val de Loire, come ad esempio Rhone Valley Vineyards e Vins du Val de Loire.
Diamoci un occhio, e partiamo dalla Côtes du Rhône.
Eccolo il classico millennial francese (pure italiano, non facciamo inutili differenze).
È domenica, ha finito di riassettare la cucina e si gode un rilassante momento di lettura, accompagnato da un bicchiere di Côtes du Rhône.
E non importa se il divano l’ha comprato con l’aiutino dei genitori o in comode rate mensili, l’importante è che il vino se lo sia scelto e preso di testa e tasca sua.
Qui ci spingiamo ancora oltre, gioendo perché la matrigna ha annullato il tradizionale pranzo della domenica e immaginando con quale bottiglia festeggiare il lieto e inaspettato evento.
Al di là delle più o meno dubbie qualità contenutistiche dei post, è innegabile la volontà di rivolgersi al millennial, quello universale, identico qui come in Francia, per aderire alle sue abitudini, alla sua condizione sociale, e invogliarlo a comprendere il vino nel suo stile di vita.
Nella Valle della Loira sono più tradizionalisti nel tono della comunicazione.
Qui la comunicazione è rivolta all’enoturista appassionato per invitarlo a scoprire un territorio vinicolo vivo da oltre sette generazioni.
In altri casi se la sono cavati con un messaggi telegrafic, stile elenco di hashtag. Ma tutto, dal font, all’editing, all’impaginazione, odora di millennial.
Abitudini da millennials
Tornando all’argomento del post, il problema è che i millennial:
- non stanno acquistando come avevano sperato e previsto i marketer e i produttori di vino
- sono alle prese con problemi di occupazione, mutui, e altre spinose questioni economiche che ne abbassano il potere d’acquisto
- sono orientati a uno stile di vita sano che spesso prevede un calo generale del consumo di alcolici
- non acquistano solo vino ma anche birra e cocktail
- sono incostanti negli acquisti
- si affezionano meno al singolo brand
- amano sperimentare cose nuove
La novità per loro brilla più del cielo l’ultimo giorno dell’anno.
Il mercato del vino poggia dunque per buona parte ancora sulle spalle dei baby boomer, appassionati navigati, che tendono a bere vino più frequentemente rispetto ai giovani bevitori di età inferiore ai 30 anni.
Questa analisi credo sia di fronte agli occhi di tutti. Se guardiamo ai nostri genitori troviamo molto più spesso l’affezione al brand vinicolo, spesso per molti anni, a volte per tutta la vita. Una affezione accompagnata da una resistenza a un certo tipo di sperimentazione, pensando ad esempio alla biodinamica o ai cosiddetti vini naturali.
E i social?
I social, e il digitale in generale, possono offrire una concreta mano ai produttori per raggiungere e tentare di coinvolgere i millennial.
Una generazione che magari non ha la cantina piena di Bordeaux, ma ha certamente almeno un iPhone in tasca. E sa come usarlo.
A mio avviso i più piccoli, se sanno muoversi bene e con costanza, hanno maggiori possibilità di ricavare qualcosa di davvero buono da un’attività digitale pianificata e monitorata, strategica per usare la parola che più mi piace.
Questo perché il millennial è avido di novità, ama le chicche, è felice se beve bene e trendy (quasi non ci credo che ho usato questa parola) spendendo il giusto, e non aspetta altro che condividere le proprie scoperte enoiche con gli amici di bevute.
A faticare con i millennial sono comunque i grandi, anche se spesso non sembra. Ma sappiamo che il digitale, e i social in particolare, sono fatti anche di apparenze che ingannano.
La loro fatica sta proprio nel raggiungere il livello comunicativo idoneo a empatizzare con i millennial, coinvolgerli in dinamiche partecipative ed emotive e svecchiarsi, senza rinunciare al proprio tono e facendo al tempo stesso i conti con strutture spesso più ingessate, macchinose e meno agili rispetto a cantine di dimensioni più ridotte.
In questo i più piccoli sono anche i più agili, i più liberi, i più reattivi nel cogliere le opportunità del digitale. Non sempre lo fanno certo, ma questo è un altro paio di maniche.
Ti lascio dunque con l’invito a osservare bene questo consumatore spesso incostante, comunque curioso, a volte frenetico, non sempre fedele ma perennemente connesso.
Perché solo se lo osservi bene e arrivi a conoscerlo puoi capire come raggiungerlo e coinvolgerlo con la tua comunicazione digitale. Una comunicazione fatta di strategia, contenuti dedicati e pensati, e di costanza nel tempo.
Non è necessario pensare per forza a un nuovo vino da presentare al Vinitaly dell’anno successivo, è sufficiente lavorare bene nel corso di tutto l’anno.
Fonte: wine-searcher.com
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
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