La comunicazione del vino, tradizionale e non solo, ha prodotto negli anni qualche mostro di troppo. Guardiamo in faccia la bestia, facciamoci un esame di coscienza, e cerchiamo di capire se il digital ci può offrire qualche opportunità di redenzione.
Questo post non offre diretti consigli di digital marketing per il mondo vino. Tratta piuttosto un tema a me particolarmente caro, la percezione del vino agli occhi del “consumatore medio”.
Un problema esiste, non neghiamolo
La domanda è esattamente questa:
come è capitato che il vino diventasse materia tanto elitaria da allontanarsi progressivamente dalla quotidianità delle persone per diventare qualcosa di oscuro, qualcosa che necessita obbligatoriamente di un certo tipo di cultura e di approfondimento per essere apprezzato?
Esattamente come dal cibo si è passati al food, così dal bere siamo passati alla degustazione. Il bicchiere è diventato calice. L’enoteca un luogo sacro accessibile a chi porta in tasca la necessaria “conoscenza”. La discussione sul vino appannaggio solo di chi ha almeno fatto un corsettino di 10 ore su “come bere 100 vini e riconoscerli senza sputare e rimanendo sobri”.
A parte gli scherzi, c’è poco da ridere.
A chi mi riferisco
Ai non esperti. Quelli che apprezzano il vino, lo comprano occasionalmente ma non ne fanno una priorità. A volte lo regalano. Cercano una bottiglia “particolare” se vanno a cena da qualcuno. Hanno il cavatappi classico, quello simpatico, con i braccini. Non concepiscono di spendere 40 euro per un vino, se non in occasioni particolarmente importanti, nelle quali comunque soffrono nel mettere mano al portafogli. Conoscono principalmente i grandi nomi, i grandi vitigni, i grandi territori. Insomma la maggior parte dei consumatori di vino.
Fino a qui nessun problema.
Esattamente come per leggere non devi per forza aver fatto liceo classico e lettere all’università, così per bere vino non devi per forza essere enologo, degustatore, assaggiatore, giornalista enogastronomico, blogger del vino.
Il problema si pone nel momento della scelta e dell’acquisto del vino, quando i non esperti entrano nelle enoteche o ordinano il vino al ristorante, i due luoghi che dovrebbero accoglierli nella maniera migliore, guidarli, rassicurarli, farli sentire a casa.
Entrano nelle enoteche con aria distratta, cercando di non farsi notare, quasi spaventati dalle innumerevoli etichette che non riconoscono, che li confondono. Tengono un profilo basso, alla ricerca di un nome, di un vino che gli fornisca un appiglio, una sorta di illuminazione.
Eccoti, ti ho già sentito, ti ho già bevuto, di te mi ha parlato il mio amico assaggiatore, ho visto la tua etichetta splendente su Facebook. Per fortuna ti ho trovato, così non devo aggirarmi sperso in questo oceano di etichette, non devo chiedere all’enotecario qualcosa che non conosco.
Hanno paura a chiedere perché temono di usare le parole sbagliate. Non deve essere un’eresia chiedere semplicemente “una bottiglia di spumante”, senza per forza di cose conoscere le denominazioni corrette o i più svariati metodi produttivi, dal classico all’ancestrale.
Il sovraccarico di terminologie e concetti settoriali costruito in anni di comunicazione vinicola spericolata, ha contribuito allo scollamento con chi desidera semplicemente acquistare una bottiglia di vino.
Per forza poi il consumatore medio si dirige al supermercato, dove non deve chiedere, non deve interagire, può sbagliare o azzeccare la sua bottiglia senza che nessuno lo giudichi o lo osservi con aria di sufficienza. Sono infatti convinto che non sia solo una questione di prezzo a spingere verso il supermercato. Chi può permettersi di spendere 7,00 / 8,00 euro in un supermercato può tranquillamente trovare eccellenti bottiglie anche entrando in enoteca.
Le colpe di chi sono?
E chi ha combinato questo scempio se non noi, con la nostra comunicazione, con il nostro desiderio di educare a tutti i costi, con la nostra terminologia da addetti ai lavori, con le parole che allontanano e confondono, con le parodie di noi stessi: tecnici, assaggiatori, sommelier, giornalisti, blogger.
La conoscenza di un vino è importante per chi desidera approfondire e conoscere il tema, ma non è e non deve essere assolutamente necessaria per poterne apprezzarne un bicchiere.
Non è obbligatorio conoscere l’origine geologica del terreno sul quale insiste la vite, di che uvaggio è composto il vino, qual è il sistema di allevamento scelto dal vignaiolo e quanti trattamenti fa il produttore in un anno, per decidere se una cosa piace o non piace.
L’eccesso incontrollato di cultura e di conoscenza porta a una ghettizzazione culturale.
Cosa puoi fare grazie al digitale?
Se, in qualità di vignaiolo o azienda vinicola, ti interessa anche al pubblico meno esperto. Se vuoi che il tuo vino raggiunga le tavole di persone che mentre mangiano non parlano per forza di vino. Se vuoi portare una persona in più in cantina o in enoteca e una in meno al supermercato, e se vuoi che qualcuno al ristorante faccia il tuo nome invece dei generici Prosecco, Barolo, Amarone, il digitale può certamente darti una mano.
Il digitale, ricordalo, può raggiungere tutti i consumatori, nella loro meravigliosa e varia umanità desiderosa di un buon bicchiere di vino.
Ambienti molto aperti, come ad esempio Facebook o Instagram, che comprendono le generazioni più giovani (se non le giovanissime), così come i “vecchi bevitori”, si prestano particolarmente bene a una comunicazione popolare, semplice, immediata, narrativa e non tecnica.
Puoi dunque decidere di destinare una parte dei tuoi contenuti al pubblico meno esperto. La tua strategia editoriale può comprendere una comunicazione mirata a chi non desidera conoscere tutto, ma solo apprezzare un buon bicchiere di vino, magari della sua zona, magari che non ha mai sentito prima. Per avere un’alternativa ai soliti noti, semplicemente radicati, grazie al tempo e all’insistenza comunicativa, nella mente delle persone.
Non ho nulla contro i vari Cà dei Frati o Bellavista, per rimanere nella mia zona, o contro Amaroni o Primitivi quando vuoi un rosso corposo e Prosecchi all’ora dell’aperitivo. Ma sono felice quando una nuova piccola azienda si aggiunge alle opzioni di acquisto del consumatore medio, quando osservo i commensali vicino al mio tavolo e li ascolto chiedere un Capriano del Colle Lazzari o un Nizza Cascina Garitina.
Loro ce l’hanno fatta anche grazie alla rete, puoi farcela anche tu, credimi.
Non è solo una questione di tono della comunicazione, ma anche di contenuti. Offri alle persone elementi di partecipazione e coinvolgimento.
Parla il loro linguaggio, racconta il tuo vino con semplicità. Di loro che hai una vigna bella e sana, che l’aria è fresca se sei in montagna, che guardare le colline la mattina presto ti trasmette un senso di pace. Parla di te e del tuo vino come lo faresti a cena con amici, riempiendo a ciascuno il bicchiere ancora una volta.
Se desideri approfondire il tema dell’emotività nei contenuti, leggi il mio post su come e perché emozionare con il tuo vino.
E se qualche reale o presunto “esperto” ti coinvolge sui social in una discussione sul glyphosate, o ti chiede con vivo interesse la resa per ettaro del tuo cru, rispondigli con altrettanta cura e attenzione, e con il linguaggio più consono all’interlocutore che scoprirai di avere di fronte. Non snobbare nessuno e ricorda sempre che
In rete quando rispondi a uno, rispondi a tutti quanti.
Fonte dell’immagine: iStockphoto
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
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