Mi è più volte capitato di leggere in rete contenuti che affrontano il tema del vino, italiano e non solo, in Cina in maniera ridondante e poco approfondita. Ho posto pertanto alcune domande a Giovanni Angoscini, che porta il vino italiano in Cina dal 2011.
Giovanni è un professionista serio e preparato, in grado di fornire una visione concreta e profonda di questo mercato cangiante, curioso, spesso frenetico e apparentemente tanto distante dalla nostra cultura.
Sono molto soddisfatto di questa intervista, che spero possa rivelarsi anche per te fonte, da un lato, di approfondimento e conoscenza, dall’altro, di ispirazione per tue eventuali strategie di approccio al mercato cinese. Lascio la parola a Giovanni, che ovviamente ringrazio per il tempo che ha voluto dedicarmi.
Da quanto tempo importi vino in Cina e quanti viaggi all’anno fai in questo paese?
Frequento la Cina per lavoro dal 2011, precisamente dall’aprile 2011.
Ho contato alcuni giorni fa i timbri di ingresso in Cina sul mio passaporto e ne risulta che ci sono stato una media di 5 volte all’anno negli ultimi sei anni. Ogni viaggio dura almeno due settimane, ma mi è capitato di rimanere in Asia per lavoro senza rientrare in Italia anche per due mesi consecutivi.
È un mercato che va innanzitutto presidiato; gestire un’attività in Cina “a distanza”, e devo ammettere di averci provato, è impossibile.
La nostra squadra è comunque ben organizzata, ed essendo in due soci per la parte italiana, io e Fabio Ferrari, con un socio cinese, Mr. Water Chen, riusciamo a coprire sostanzialmente l’intero anno. I periodi “caldi” sono quelli prima delle principali festività cinesi.
Come hai iniziato a svolgere questa attività?
Un mio amico e compagno di studi mi contattò da Pechino, dove stava svolgendo un master post laurea, per comunicarmi un’idea. I genitori abbienti dei suoi compagni di classe bevevano esclusivamente vini francesi dei principali chateaux – a quei tempi chi poteva permetterselo beveva esclusivamente Bordeaux -, e così cominciammo a chiederci se ci fosse la possibilità che si aprissero anche ai grandi vini italiani.
Il primo passaggio fu l’identificazione dei più costosi ed esclusivi vini italiani. Iniziammo a contattare direttamente alcune delle più importanti cantine italiane che, con nostra sorpresa, ci aprirono le porte. Non tutte certo, ma alcune si dimostrarono piuttosto disponibili e proprio con loro iniziammo a collaborare.
L’importazione di vini dall’Italia alla Cina era al tempo piuttosto complessa, prevedendo una società importatrice con licenza rilasciata dal governo centrale e un capitale sociale depositato piuttosto alto, così iniziammo come potevamo. Ci riempimmo le valigie di bottiglie costosissime e iniziammo a fare la spola tra Pechino e Shanghai e l’Italia. Ricordo bene che uno dei primi viaggi lo affrontammo tutti, eravamo a quel tempo in quattro, con due valigie da stiva a persona con una decina di bottiglie a valigia. Era tutto al limite della legalità, ma le facce degli agenti doganali all’aeroporto erano più stupite che indispettite. Iniziammo così a sviluppare la nostra rete di clienti privati, che rappresenta ancora oggi una parte importante del nostro fatturato.
Chi sono i tuoi clienti?
Data la scarsità di mezzi e la necessità di mantenere la nostra struttura leggera e snella abbiamo da subito deciso di puntare sulla clientela privata, che prevede uno sforzo economico più mirato ma una pazienza e dedizione infinite. Piuttosto che lanciarci nel mercato tradizionale, caratterizzato da concorrenza spietata e una guerra dei prezzi con cui ci era impossibile pensare di combattere, abbiamo deciso di concentrarci totalmente su pochi clienti potenzialmente straordinari.
Sono grandi collezionisti, amanti del vino, che per motivi di lavoro o anche per pura passione aprono un’eccezionale quantità di bottiglie.
Sottolineo aprono, perché il nostro cliente di riferimento non è un collezionista “conservativo” all’europea, ma un grande amante del vino da bere, una persona che se compra un cartone di vino di una grande annata apre subito un paio di bottiglie, le gusta, e poi decide cosa fare: se gli piace ne compra ancora, altrimenti aspetta e riassaggia il vino più avanti, lasciandosi sempre aperta l’opportunità di acquistarne nuovamente.
Con questa tipologia di cliente esiste solo un approccio, che prevede di essere sinceri, competenti e professionali, e di “esserci sempre” (di persona, con un proprio collaboratore, al telefono, per mail o, meglio ancora, su Wechat..).
Da quest’anno abbiamo deciso di iniziare una vendita più diffusa anche nel canale tradizionale, quindi ristoranti e hotel. Stiamo organizzandoci con un team locale ben istruito, che con passione e impegno ci sta consentendo di farci un nome anche nell’alta ristorazione locale. In questo processo avere un socio locale affidabile e serio, nonché ben inserito nei giusti canali, è fondamentale.
I nostri clienti più importanti a Shanghai sono i grandi nomi della ristorazione internazionale e, fortunatamente e sempre di più, ristoranti locali di fascia medio-alta.
Lavorando con produttori molto importanti e conosciuti stiamo riuscendo a inserire parecchie referenze, anche al bicchiere, nei principali punti di diffusione della cultura del vino a Shanghai, dove si formano i consumatori del futuro e dove si ritrovano gli opinion leaders della “piccola” comunità di wine lovers Shanghainese.
Com’è cambiato il mercato del vino in Cina negli ultimi anni?
Il mercato del vino in Cina è di difficilissima interpretazione, cambia in continuazione e ogni cambiamento avviene in tempi rapidissimi e in modo non sempre “ordinato” o razionale.
Come dicevo, inizialmente il mercato cinese era un’esclusiva dei francesi che, con un talento, un’intuizione e mezzi infiniti, hanno deciso di investire molto in un paese che non ha dato immediati riscontri nemmeno a loro.
In principio era tutto vino rosso (consiglio il documentario Red Obsession del 2013), alto di grado e scuro nel bicchiere, oggi cercano tutti finezza ed eleganza e tutto ciò che è “strano”, con un occhio sempre rivolto al vicino (e non sempre amato) Giappone e all’Europa.
Io parlo sempre del mercato che conosco, che non credo possa essere considerato rappresentativo della Cina intera, ma che probabilmente può aiutare a capire cosa stia succedendo nelle città di prima fascia e sicuramente a Shanghai.
Il bevitore cinese è sicuramente curioso, direi bulimico di informazioni e novità, sempre impegnato nell’accorciare la distanza culturale che divide un paese che è stato lungamente richiuso su se stesso.
Un paio di esempi pratici, che utilizzo spesso anche con i produttori per cercare di leggere questo mercato tra le righe: girando la maggior parte dei ristoranti di fascia alta di Shanghai si scopre che almeno il 90% dei sommelier, camerieri, responsabili di sala, manager di ristoranti e in generale operatori del settore hanno meno di 40 anni. I due responsabili sommelier dell’Atelier de Joel Robuchon di Shanghai hanno meno di trent’anni, il capo sommelier del gruppo Jean Jorge non ne ha più di trentacinque, tutti i sommelier con cui abbiamo avuto a che fare responsabili delle liste vini dei ristoranti delle principali catene di hotel di Shanghai (Ritz-Carlton, Park Hyatt, Bellagio..) confermano l’impressione.
I clienti del futuro, e quelli che ci aiuteranno a formarli, sono in Cina. Hanno mezzi, curiosità ed entusiasmo. Una delle migliori liste vini che mi sia capitato di trovare, certamente in Asia, è quella del ristorante asiatico-fusion Hakkasan. Rispecchia totalmente questo approccio “giovane” e dinamico al mondo del vino. I quasi dieci sommelier professionisti che lavorano nel ristorante si ritrovano un giorno alla settimana per un tasting nel quale abbinano vini alla cieca ai piatti del menù e, senza grandi influenze né pressioni, decidono di inserire i vini che si abbinano bene ai piatti per la maggioranza dei presenti. Ne nasce una lista ricca di sorprese e tutta da provare, con un’impressionante proposta di vini al bicchiere.
Un altro dato interessante per capire questo mercato in movimento riguarda l’incredibile quantità di giovani cinesi che si stanno muovendo nel mondo per imparare, con il conseguente successo del turismo eno-gastronomico, prima in Francia e ora anche in Italia.
Queste persone viaggiano, studiano, imparano, consumano e poi tornano nel loro paese con la voglia di raccontare a tutti quello che hanno visto, fatto, assaggiato. Il mercato del futuro si crea così, a una velocità pazzesca. Questo significa certamente che ci sarà anche un problema di “superficialità” e un consumo magari non attentissimo, ma basterebbe che tutti gli operatori si comportassero in modo professionale, dando del mondo del vino italiano la giusta impressione sin dal primo approccio.
Noti un’evoluzione del gusto nel consumatore cinese o c’è più una tendenza a seguire le mode provenienti da altri paesi?
I cinesi sono grandi consumatori e conoscitori del tè e sanno degustare. A differenza di quanto si possa pensare non amano solo il dolce e l’abboccato, ma apprezzano, previa spiegazione o anche solo per analogia, anche il tannico e l’acido.
Il tè è una bevanda piuttosto tannica, sorretta da una buona acidità. Durante la degustazione, o cercando di spiegare nuovi vini, l’analogia con la bevanda tradizionale locale è utile e permette anche di dimostrare il nostro interesse per la cultura cinese, una forma di reciprocità non scontata ma molto apprezzata. Come dicevo il consumatore cinese beve parecchio, e questa tendenza assecondata da una proposta molto varia e da un mercato sempre più aperto e con prodotti accessibili, sta contribuendo in modo importante alla formazione del gusto personale. È chiaro che si tratterà di un processo molto lungo, ma registro perlomeno un’apertura incredibile e una grande curiosità.
Le principali tendenze arrivano da Giappone-Taiwan e Corea, ma partono tutte dall’Europa. I vitigni autoctoni e le unicità italiane iniziano a essere molto apprezzate, proprio perché all’interno di una proposta sconfinata abbiamo saputo comunicare la tipicità dei nostri prodotti e il consumatore è sempre alla ricerca di qualcosa di unico e irripetibile.
Il grande tema ambientale sta portando sempre più consumatori, soprattutto quelli che possono permetterselo, a sviluppare una coscienza di consumatore consapevole e quindi attenzione per le produzioni BIO o comunque “naturali”.
È chiaro che per i meno esperti le mode rappresentano il più veloce approccio al mondo del vino, ma anche i cinesi stanno capendo che se manca la sostanza, passata la moda resta poco. Quello che certamente posso dire è che il bevitore di vino cinese non si preclude nulla ed è estremamente aperto.
Quali vini hanno più successo in questo momento?
Detto che i vini italiani e spagnoli stanno suscitando sempre maggiore interesse, devo ammettere che Champagne, Borgogna e Côtes du Rhône sono sempre in vantaggio. Ciò ammesso, e con riferimento alla nostra attività, il Piemonte è in forma strabiliante e Friuli e Sicilia (specialmente la zona dell’Etna) inseguono a ruota.
L’interesse per gli orange wines è impressionante e devo dire che nella nostra breve ma intensa storia di importatori di vini italiani non abbiamo mai avuto un simile riscontro commerciale. Iniziando a importare i vini di alcuni dei guru della produzione di vini macerati italiani siamo stati contattati dai clienti senza andarli a cercare. È chiaramente un nuovo trend, e devo ammettere che siamo stati fortunati ad arrivarci in tempo, ma è un trend che ha un senso:
alcuni vini macerati vengono interpretati quasi come bevande, ricordando sempre il tè per complessità e “robustezza”, e vengono consumati anche fuori pasto o a fine pasto.
Questa modalità di consumo si confà bene alle usanze locali. Aggiungo che, essendo vini bianchi che vanno bevuti un po’ come vini rossi, rappresentano un buon “passaggio” per il classico consumatore di vino rosso verso il mondo dei bianchi.
Il vino italiano come viene percepito a livello qualitativo da un lato e commerciale dall’altro?
Il vino italiano, a seguito di una partenza rallentata e con l’handicap da un lato di essere arrivati dopo i francesi e dall’altro di aver approcciato il mercato malissimo, è finalmente sulla buona strada.
Saltati alcuni dei principali operatori per i quali l’import e la distribuzione di vino hanno rappresentato un business parallelo, continuano il lavoro piccoli operatori che pongono al centro di tutto la qualità vera, o perlomeno il rapporto qualità/prezzo. Come sanno tutti il vino va comunicato con passione e professionalità, e nel lungo termine chi riesce a farlo poi la spunta.
Il vino italiano continua a rappresentare una parte minima dell’importazione di vino in Cina, contendendosi con la Spagna un posto sul podio, ma con una distanza ancora abissale dal gradino più alto.
Sta sempre più emergendo il primato dell’Italia come produttore di vino con straordinario rapporto qualità/prezzo, e considerando che dopo i ricchi inizia a bere anche la classe media (e la classe media cinese che vive nelle città di prima fascia sarebbe da considerarsi ricca per lo standard europeo) questo è un selling point fondamentale.
Il vino, da bevanda esclusiva e da show off sta diventando sempre più quotidiano e, quindi, anche “normale”.
Tornando indietro di soli cinque anni devo riconoscere che è stato necessario il lavoro di comunicazione di (pochi) coraggiosi e instancabili operatori che, di fronte alla iniziale perplessità del cliente cinese, non hanno distrutto il valore di alcune etichette “svendendole” ma ne hanno difeso la dignità rinunciando a qualche vendita spot per svuotarsi il magazzino assumendosene gli oneri conseguenti.
Ricordo bene le perplessità dei grandi collezionisti davanti alle bottiglie di Barolo anche solo da 100 euro (dico solo rispetto alle bottiglie prestigiose francesi) che ci dicevano che il vino era sconosciuto, che nessuno gliene aveva mai spiegato il valore, che messo in tavola non avrebbe avuto alcun riscontro proprio perché sconosciuto etc… Bene, a distanza di cinque anni gli stessi non solo riconoscono il vino, ma ne conoscono i diversi produttori, stili, addirittura “i cru”. A distanza di anni il vino italiano è diventato il vino di chi ama bere bene, anche in quantità, senza alcun rimorso (prezzo ragionevole-qualità elevata).
Qual è il fattore determinante per il successo di una trattativa commerciale?
Ogni rapporto in Cina è fondato sul rispetto, la fiducia reciproca e la costanza.
Abbiamo concluso alcuni affari che in qualche modo prescindevano dal prodotto venduto, ma che erano fortemente legati alle persone che guidavano la trattativa. Il mercato cinese va soprattutto presidiato, sarà difficilissimo concludere una trattativa al primo tentativo (perlomeno non sarà continuativa) ma anche al secondo. Quando siamo arrivati a Shanghai nel 2011-2012 tutti ci dicevano che per i primi due anni almeno non avremmo veduto niente. È stato piuttosto vero, e ce ne siamo resi conto quando poi sono sbocciate delle relazioni che consideravamo ormai morte avendoci lavorato anche un paio di anni prima.
È per questo che il rapporto umano è cruciale: nella ricerca di un partner serio e affidabile in loco, nella ricerca dei collaboratori e infine nell’individuare, scovare e mantenere i clienti. In questo senso devo dire che il cliente cinese è poi molto “fedele” e difficilmente cambia fornitore, perlomeno in un settore in cui il prezzo può essere determinante ma non è certo l’unico elemento. Quindi, per rispondere con una parola, direi che la perseveranza è l’elemento determinante.
Quanto è importante il fattore umano nel tuo lavoro?
Ho già in parte risposto ma, anche per entrare un po’ nel tema a te più caro, è evidente a tutti che l’e-commerce e la comunicazione digitale stanno cambiando molto questo lavoro in una qualche modo anche “spersonificandolo”.
Per quanto mi riguarda considero il fattore umano ancora determinante per la conquista di un mercato avido di informazioni che deve però ancora imparare a selezionarle e valutarne la qualità.
Qui si parla di digitale quindi sono curioso di sapere se hai avuto modo di verificare l’attitudine digitale dei tuoi clienti cinesi. Come si rapportano ai mezzi digitali anche in relazione al vino? Sai se sono abituati a condividere sui loro canali social i vini che degustano? Appaiono più o meno digitalizzati di noi?
Il cinese è costantemente connesso, e questo vale anche nel nostro ambiente. Tutti i nostri clienti, a prescindere da età e status, acquistano online con regolarità.
Mi è capitato di consultare l’account privato di una piattaforma di vendita di vino online di un nostro importante cliente e ho scoperto che, oltre a essere un vero influencer con migliaia di followers, nell’ultimo anno ha acquistato quasi centomila dollari di vino online da una sola piattaforma.
Credetemi non è un caso raro. In questo modo, dal punto di vista del cliente, la qualità e origine del vino è certificata, e quindi non si rischia di comprare fregature, si ha la possibilità di confrontare i prezzi con una discreta trasparenza, e soprattutto ci si costruisce una reputazione.
Mi è capitato che un altro cliente mi riprendesse scherzosamente, ma non troppo, perché la qualità delle fotografie delle bottiglie che condividevo nei miei moments di Wechat non era sufficiente, e non apparivo di conseguenza agli occhi degli utenti come professionale e serio. Ho allora iniziato a capire il modo in cui queste persone interpretano e vivono il mondo della condivisione digitale di una loro passione.
Non solo i cinesi mi sembrano in media più digitalizzati di noi, ma mi pare che si prendano anche molto più sul serio in questo senso.
Devo anche dire che se in principio questa condivisione estrema era un po’ fine a se stessa, una versione digitale dello show off che si consumava abitualmente sui tavoli dei migliori ristoranti di Shanghai con bottiglie costose aperte e bevute senza ritegno, ora l’approccio è più motivato da un reale interesse e un qualche fine più “didattico”.
A giugno sono stato invitato a una degustazione di vini a base Barbera di diverse annate e origini: bene, tralasciando la quantità impressionante di domande e le discussioni che si sono aperte, sono stato subito inserito nel gruppo Wechat dei partecipanti che dopo la degustazione, durata due ore, sono andati avanti a scambiarsi opinioni, fotografie e video di quello che avevano e avrebbero bevuto di lì a breve. Uno scambio no stop molto istruttivo.
Il tema e-commerce in relazione all’acquisto di vino è mai emerso? Sai se per il loro consumo interno si affidano anche a questo canale? E se sì come lo percepiscono?
[Le statistiche ci dicono che nel 2016 più di 21 milioni di cinesi hanno acquistato vino su differenti siti e-commerce]
Ho in parte già risposto ma aggiungo un’esperienza diretta: proprio la scorsa settimana sono stato contattato con una certa urgenza dal responsabile acquisti di un importatore molto strutturato di Shanghai, al quale abbiamo presentato un produttore con il quale hanno poi iniziato una collaborazione commerciale. Pur non avendo firmato alcun contratto di esclusiva, ormai non la chiede e non la concede quasi nessuno, lamentava la comparsa sulla principale piattaforma di e-commerce cinese di una sua referenza. La questione non era tanto relativa alla comparsa in sé ma, come potete immaginare, al prezzo di vendita al pubblico (addirittura inferiore al suo prezzo trade). Ho sentito il produttore che sebbene in vacanza è stato disponibilissimo, il quale ha richiamato la piattaforma affinché allineasse il prezzo di vendita al reale valore commerciale della bottiglia. La piattaforma e-commerce, per suo conto, risponde dicendo che “il vino è di chi lo compra” e una volta di loro proprietà si ritenevano assolutamente liberi di decidere le proprie politiche commerciali. La vicenda si concluderà con una vendita spot, un flash sale, di poche bottiglie che non distruggeranno il mercato ma consentiranno all’utente finale di acquistare un vino a condizioni vantaggiosissime dato che la piattaforma e-commerce ha costi bassissimi e si può permettere, dunque, ricarichi bassissimi.
Dal mio punto di vista ho capito che c’era in questo caso buona fede da parte di tutti, tanto che il produttore ha venduto a tutti allo stesso prezzo, la piattaforma online ha fatto qualcosa di assolutamente lecito, l’importatore mi ha semplicemente detto che loro non abbasseranno di un centesimo il prezzo dato che lavorano su un mercato differente e di nicchia che i prezzi online quasi non li considera, apprezzando invece un servizio speciale e altro tipo di attenzioni. Insomma, anche da operatore off line devo ammettere che c’è spazio per tutti.
[per chi volesse approfondire questo aspetto rimando al post sul fenomeno dell’e-commerce in Cina]
C’è un futuro in Cina anche per il vino italiano di piccoli vignaioli? E se sì, che caratteristiche devono avere i prodotti per interessare il consumatore cinese?
Proprio di questa tematica abbiamo discusso brevemente al penultimo Vinitaly con un importante produttore tra i fondatori di un’associazione che racchiude proprio i vignaioli indipendenti. Se già solo alcuni anni fa per il cliente cinese buono voleva anche dire grande, e quindi c’era la necessità di dimostrare da dove venisse il vino e tanto più grande e strutturata era la cantina tanto più acquisiva valore il prodotto, negli ultimi due anni la tendenza va affievolendosi.
Così come le qualità autoctone e le indigenous varieties hanno iniziato a trovare spazio nel mercato, anche i produttori meno strutturati, più attenti alla qualità e ai processi produttivi, che vinificano solo uve di proprietà seguendone direttamente il lavoro in vigna e in cantina, hanno trovato riconoscimento.
Il numero di bottiglie prodotte come valore assoluto si sta invertendo ed è passata l’idea, peraltro non sempre vera, che piccolo è bello e che meno produco meglio produco. Noi non siamo estremisti, e combattiamo le posizioni nette e senza discussione, ma crediamo di avere contribuito in prima persona all’emergere della figura del vignaiolo nel mercato di Shanghai, dove organizziamo anche serate di degustazione in cui i produttori sono presenti.
Questo scambio tra il produttore (stiamo parlando nell’ultimo caso di un produttore di 50/60.000 bottiglie annue) e il suo cliente finale è stato davvero emozionante e istruttivo. Anche in questo caso il tema è la comunicazione, e la trasparenza: questo produttore ha semplicemente parlato della sua storia, senza nulla tralasciare, e i presenti ne hanno capito il valore apprezzandone se possibile ancora di più i vini.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, credo che interessino soprattutto prodotti onesti e sinceri, la cui qualità abbia un’origine precisa e spiegabile, che può risiedere nel valore di un preciso pezzo di terra, nell’abilità di chi lo lavora, nella tecnica usata in cantina o nella genialità di chi per primo ha pensato di poter fare qualcosa che nessuno aveva fatto prima o anche di recuperare qualcosa dal passato e dalla tradizione. I vini devono cercare di avere carattere e una certa unicità, perché in fin dei conti devono confrontarsi con chi ha iniziato prima e continua alla grande (i francesi), chi ha iniziato dopo ma costa meno (Americhe), chi viene da paesi senza o con inferiori dazi in importazione e investe in marketing e promozione (Australia).
Dove trovi Giovanni oggi
Per quanto riguarda il mercato cinese Giovanni è socio, con Fabio Ferrari, della Zefiro-Group Srl. Al termine del post trovi una breve descrizione della società. Qui puoi consultare il sito web ufficiale: www.zefiro-group.com.
Giovanni è inoltre socio, insieme a Luigi Bagassi, dell’enoteca A La Cave in centro storico a Brescia (fanno anche distribuzione). Qui, in alcune giornate, lo puoi anche incontrare di persona, dietro al bancone in Via Gasparo da Salò 40.
Se infine la tua anima è digital, hai anche la fortuna che da poco Giovanni è diventato social, e se riesci a trattenere l’invidia per le bottiglie che condivide, puoi seguirlo in Instagram come @gioango.
Direi che ci siamo detti tutto. Se ti è piaciuto il post non dimenticare di condividerlo. E grazie ancora a Gio.
Zefiro-Group Srl è una società di selezione, importazione e distribuzione di vini di qualità Italiani che opera in Cina dal 2011. Il focus è Shanghai. Dal 2014 nasce una partnership con il gruppo cinese GSL Global Skyway International Logistics Co.,Ltd e Global Skyway Supply Chain Management Co.,Ltd.
Il catalogo di GSL-Zefiro comprende a oggi una ventina di produttori italiani rappresentativi delle più importanti regioni vinicole del paese. A grandi nomi si accompagnano piccoli produttori di qualità e vignaioli indipendenti. Il catalogo è in continua espansione e la ricerca è costante.
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com
One Response
Articolo molto interessante