La società di consulenza FleishmanHillard Italia ha presentato, a fine giugno, la classifica della presenza online delle prime 32 aziende vinicole italiane per fatturato. Vediamo di capire cosa fanno i big e se possiamo imparare qualcosa.
La classifica, che come tutte le classifiche lascia il tempo che trova ma possiede l’indubbio vantaggio di fotografare e descrivere una condizione più o meno diffusa, è frutto di un’indagine che ha preso in considerazione differenti fattori.
Vediamoli nel dettaglio, per comprendere al meglio quali parametri hanno decretato il primo posto per Compagnia de’ Frescobaldi e “solo” l’ultimo per Contri Spumanti.
L’indagine ha scelto e analizzato (assegnando in alcuni casi scale di punteggi) i seguenti fattori:
- generica presenza online (premiando chi produce contenuti video)
- numero di iscritti / followers sulle principali piattaforme social (Facebook, YouTube, Twitter, Instagram)
- frequenza di aggiornamento sui social network
- numero di link in entrata al sito web
- Look&Feel del sito (piacevolezza, design, usabilità)
- se nelle comunicazioni aziendali viene raccontato e promosso il territorio (e qui entriamo nei parametri più discutibili a mio avviso)
- numero di lingue in cui è tradotto il sito
- se vi sono o meno riferimenti / contenuti dedicati a vitigni autoctoni (questa, ammetto, l’ho capita poco)
- se vi sono o meno riferimenti al tema della sostenibilità
- se vengono offerti servizi di chat o chatbot per l’assistenza alla clientela
Se si fa caso agli elementi e ai fattori analizzati, ci si rende conto che non ne esce una classifica di chi comunica meglio (che potrebbe scaturire solo da una forse velleitaria analisi qualitativa dei contenuti prodotti dalle aziende vinicole in rete e dal livello di partecipazione e coinvolgimento del proprio pubblico), quanto piuttosto una classifica di chi comunica in maniera più diffusa, strutturata e organizzata.
Tanta roba comunque, utile soprattutto a comprendere “cosa fa e dove lo fa” chi fa le cose “per bene”, o per lo meno mosso da una strategia comunicativa che, a differenti livelli, ogni azienda vinicola (dal vignaiolo al grosso gruppo) dovrebbe strutturare e perseguire.
Cosa ci dice la classifica
I social network più diffusi e utilizzati dai top 32 brand del vino nazionali sono, nell’ordine:
- YouTube
Le frequenze di aggiornamento sono interessati, vediamole nel dettaglio.
In Facebook il 68% delle grandi aziende del vino posta contenuti settimanalmente, e solo l’11% quotidianamente. In Instagram (per la natura stessa del mezzo) aumenta al 25% la percentuale delle aziende che postano ogni giorno, mentre il 65% si assesta ancora sulla frequenza settimanale.
In Twitter e YouTube la frequenza di pubblicazione tende a dilatarsi e spalmarsi, facendosi più rarefatta, forse anche per l’impostazione specifica e molto identitaria dei due canali.
Semplificando al massimo questi primi dati possiamo affermare che la maggior parte delle grosse aziende del vino italiane pubblicano almeno settimanalmente contenuti sui social network.
18 delle 32 aziende analizzate utilizzato contenuti video, 21 offrono servizi di chat o chatbot per l’assistenza ai clienti. Quasi tutte hanno il sito tradotto in almeno una lingua straniera e, tendenzialmente, hanno siti web che offrono ai propri visitatori una buona esperienza di navigazione e che sono ottimizzati mobile.
Solo 3 aziende posseggono un e-commerce proprietario, ma su questo tema sappiamo che vi sono specifiche e settoriali logiche commerciali che impediscono, almeno al momento, il nascere e il diffondersi di modalità individuali di commercio vinicolo online.
Rispetto agli scorsi 5 anni si evidenzia invece la tenuta di Facebook (il canale ancora più amato) e il boom di Instagram (5 aziende su 25 gestiscono un canale nel 2018, contro le sole 6 del 2014). Tutto questo mentre Twitter è in calo e YouTube stabile.
I siti sono migliorati e sono aumentati followers e frequenza di pubblicazione dei post, ma ancora molto si può fare in termini di diffusione delle informazioni, integrazioni dei canali e costanza nelle attività.
Sono andato molto rapido e ho riportato solo le informazioni che ritengo più interessanti. Non preoccuparti che tra poco troverai l’infografica completa della classifica, insieme al post ufficiale di dettaglio di FleishmanHillard.
Cosa possiamo imparare
I grandi hanno le idee piuttosto chiare nonostante qualche lieve mancanza sia ancora presente. Hanno comunque finalmente compreso l’importanza del digitale, della rete e dei social media, soprattutto come canali di comunicazione con il proprio pubblico, dal semplice consumatore occasionale al winelover evoluto, fino all’enostrippato del vino.
Le grandi aziende e i grossi gruppi del vino sono digitalmente strutturati, stanno colmando le proprie lacune e sanno selezionare i canali più idonei in termini di portata, corrispondenza con il proprio target, popolarità ed efficacia. Ma la realtà è che i grandi non hanno scelta (o ce l’hanno molto meno). Il mercato è pronto a premiarli se comunicano e se lo fanno bene, a condannarli all’oblio (esagero neh) in caso contrario.
I big possiedono uffici marketing, reparti comunicazione, consulenti esterni e agenzie per il digitale, il cartaceo, gli eventi. L’utilizzo che loro fanno, e possono fare, dei canali digitali è sempre e comunque differente rispetto a quello di un piccolo vignaiolo che si occupa da solo di tutto quanto. Eppure la bellezza della rete è proprio questa: entrambi, il piccolo e il grande, hanno a disposizione le medesime opportunità, i medesimi strumenti, i medesimi ambienti (certo non i medesimi budget).
Ma il panorama vitivinicolo italiano (310 mila aziende agricole e quasi 46 mila aziende vinificatrici) è fatto di tante piccole realtà, dal vignaiolo indipendente alla piccola cantina, fino alle aziende di medie dimensioni che iniziano a essere più strutturate nel momento in cui si dotano di un reparto comunicazione e marketing con figure dedicate.
Nei casi più piccoli invece, l’unica speranza digital è riposta nella predisposizione naturale e individuale del singolo vignaiolo. Se però la fortuita congiunzione astrale tra il vignaiolo e l’individuo digitale e digitalizzato non si verifica, ecco che sarà complesso trovare terreno fertile per far nascere consapevolezza in questo ambito.
Di cosa dovresti fare tesoro
Prima di congedarci mi preme cogliere questa occasione per chiarire ulteriormente un punto che ripeto alla nausea tra le pagine virtuali di questo blog.
Il digitale è sempre meno una scelta o una possibilità. Ogni secondo che passa si configura sempre più come una strada obbligata forse proprio perché unica nel suo genere.
Qui in Italia tendiamo ad adottare nuovi strumenti e canali digitali solo in alcuni casi specifici:
- quando li vediamo arrivare da oltreoceano
- quando li adotta un nostro concorrente
- quando ce ne parla l’amico o il parente
- quando ne sentiamo l’esigenza (nel migliore dei casi)
- quando ormai è troppo tardi
La classifica appena presentata è solo l’ennesimo tassello di un quadro ormai piuttosto chiaro da tempo.
Certo le cose potranno cambiare, i social potranno evolvere, le piattaforme sparire. Ma con il digitale in generale dovremo continuare a fare i conti proprio perché, esattamente come il vino, fa ormai parte della nostra vita.
Se dunque ancora non ci hai pensato, se non ti sembra utile, se hai la fortuna di vendere tutto il vino che produci, pensa che il vino non è solo commercio ma è anche suggestione, narrazione, dialogo, condivisione, e tutti questi fattori passano dai rapporti personali così come dai canali social e dalla rete, gli ambienti che le persone frequentano, utilizzano, consultano.
Clicca qui per scaricare il PDF della classifica.
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Fonte: fleishmanhillard.it
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