Da consumatori abbiamo spesso bisogno di classifiche, di punteggi, di confronti e paragoni, di migliori e peggiori, di buoni e cattivi, per farci un’idea e procedere a un acquisto.
Ragioniamo per confronti, per paragoni, necessitiamo di punti di riferimento, di parametri sui quali tarare le nostre preferenze.
La nostra mente ha fame di semplificazioni, di scorciatoie, di percorsi facilitati e abbreviati per arrivare a una decisione, soprattutto se c’è tanta offerta, poco tempo e molto “rumore”.
Ma, nel mondo del vino, classifiche, punteggi e confronti statistici sono indicatori deboli, superficiali, soggettivi e spesso facilmente manipolabili.
Ecco allora che i pacchetti si confrontano con altri pacchetti, la qualità varia in relazioni ai punteggi, le scelte di alcuni cambiano in base alle classifiche.
Se domani uscisse una classifica, più o meno autorevole, dei primi 50 wine influencer del vino e tu produttore o produttrice dovessi decidere a chi affidarti, sceglieresti il 50esimo? Non credo proprio, forse nemmeno lo guarderesti, esattamente come non vai oltre la prima pagina dei risultati di Google quando effettui una ricerca. Ma questo non significa che l’ultimo non possa davvero essere la persona più adatta ad aiutarti nella crescita del tuo brand vinicolo.
Personalmente, e se siete lettori di questo blog lo sapete già, non amo i punteggi, ritengo le classifiche inutili e non credo nel valore dei confronti tra buoni e cattivi, giusto e sbagliato, esattamente come detesto il concetto di “verità” nel vino. La verità? Ma di cosa stiamo parlando? Chi crede di possederla è già in errore.
Detto questo direi che, almeno per il mondo vino, punteggi, classifiche e confronti non ci sono utili. Men che meno oggi, in un contesto in cui tutti si sentono autorizzati a propinarci la loro personale classifica a tema enoico.
Il digitale, di contro, è invece un mondo che ragiona sulla base di dati, di informazioni, di zero e di uno, di rankink, di algoritmi, di analisi e di statistica.
Tanti followers sono meglio di pochi, tanti post sono meglio di alcuni e rarefatti, più visite al sito sono preferibili ai “pochi ma buoni”, più like, commenti, condivisioni, stories, tweet, e chi più ne ha…. Ma davvero vogliamo ragionare in questo modo? Davvero è solo una questione di numeri, di best practice, di regole per piacere ad algoritmi e motori?
Due mondi apparentemente inconciliabili quindi: uno soggettivo, personale, individuale e l’altro statistico, numerico; uno lento, riflessivo, legato ai ritmi della natura e l’altro veloce, sincopato, frenetico, mutevole.
Ma un elemento unisce saldamente i due mondi. Un elemento imprescindibile e spesso dimenticato: il consumatore, che se vogliamo essere più gentili possiamo chiamare bevitore (che però fa un po’ avvinazzato), enoturista, appassionato, oppure…
Chiamiamole persone
A questa persona in ascolto, assetata di storie e di informazioni, tu hai la possibilità di trasmettere il tuo messaggio, la tua idea di vino, il tuo universo valoriale.
Ma serve forse tornare a farlo in maniera autentica, spontanea, senza farti dominare dagli algoritmi, dalle best practices, della regole, che comunque vanno conosciute e considerate ma non applicate pedissequamente. Per arrivare a usare il digitale ai tuoi scopi, al tuo servizio, e non viceversa. Per affidarti agli ambienti e ai canali digitali in quanto strumenti, esattamente come ti affidi alla pressa o alla botte quando ti servono.
Concentrati sulle persone quindi, ascoltale, impara a conoscerle, cerca un dialogo nelle pieghe dei canali, tra le maglie delle regole algoritmiche.
Non dico sia facile. Non lo è. Non ci sono formulette, e ascolto, costanza e pazienza sono qualità che dovrai abbondantemente possedere. Ricordati, dunque, che dall’altra parte della tastiera o dello smartphone ci sono prima di tutto persone.
Immagine in evidenza realizzata con Midjourney
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