Ci siamo accorti solo ora, che di tutte le virtù di un contenuto social l’autenticità è la più strategica?
Certo che no! Però, lato digital marketing, si fa ancora parecchia fatica ad aprire gli occhi di imprenditori e aziende, così che possano osservare le metriche e i dati realmente importanti.
Così come il miglior giocatore di basket non è per forza il più alto, allo stesso modo non sempre il miglior wine influencer è quello con più follower. E comunque deve essere quello giusto per la tua squadra.
Ma torniamo in carreggiata.
Insieme alla spontaneità, alla rilevanza e alla qualità, l’autenticità è uno di quei fattori da perseguire con tutte le forze a disposizione.
Le aziende dovrebbero puntare a questo, il resto assume un’importanza secondaria, anche perché altri fattori, oltre a essere evidentemente meno interessanti, sono anche facilmente manipolabili.
E non mi riferisco solo al numero di follower, ma anche buona a parte del famigerato e tanto ricercato “coinvolgimento”, visto che alcuni influencer si affidano a gruppi di crescita (i cosiddetti PODS), composti da altri influencer che si commentano tra di loro, così da incrementare questo dato.
Le analisi che devono essere fatte per valutare la bontà e il valore di un influencer diventano così sempre più necessarie e profonde.
Un bel post sul sito The Drum elenca alcune metriche e alcuni fattori che dovrebbero essere presi in considerazioni dalle aziende che vogliono fare influencer marketing. Eccoli qui riportati:
- paese di provenienza dell’influencer
- segmentazione geografica del pubblico dell’influencer
- numero di follower
- AQS (Audience Quality Score), un punteggio di qualità del pubblico dato dalla presenza o meno di follower falsi, inerti, guadagnati con follow / unfollow
- qualità dei commenti (se realmente partecipati, dialoganti e sentiti o se composti solamente da cuoricini ed esclamazioni)
- tempo trascorso a creare contenuti di valore, a fare storytelling intelligente, a creare partecipazione (dato che tradurrei in frequenza di pubblicazione di contenuti di qualità)
- [aggiungo io] tipologia dei contenuti prodotti (cosa gli piace, che gusti ha, quali preferenze, che brand segue)
Il passo successivo sarebbe quello di avviare una collaborazione definendo bene quali saranno i KPI (Key Performance Indicator), ovvero gli indicatori da misurare per valutare il successo dell’azione di influencer marketing.
Questo, ovviamente, in un mondo ideale.
Oggi, nel mondo del vino, il settore dell’influencer marketing non gode di ottima salute. Pratiche poco trasparenti, scarsa cultura di marketing sia lato fornitori di servizi sia lato aziende, improvvisazione e approssimazione sulle strategie e sulle tattiche, hanno portato a un calo di fiducia e di entusiasmo.
Cosa che non è avvenuta in altri settore, dove a livello globale l’influncer marketing è in crescita e le aziende aumentano gli investimenti perché ottengono risultati. Ma ormai lo sappiamo che il mondo del vino è un mondo a parte.
Non tutto è perduto però, e non tutto è da buttare. Sull’onda dei riscoperti valori dell’autenticità, della spontaneità, della naturalezza e dei contenuti, ecco che spuntano (in realtà ci sono sempre stati) gli organic influencer.
Chi sono gli organic influencer?
Sono persone comuni che condividono spontaneamente un contenuto riguardante un prodotto o un servizio, dopo averlo liberamente acquistato.
I contenuti prodotti da queste persone sono veri e propri UGC (User Generated Content), per l’appunto spontanei, autentici, realmente sentiti, non richiesti. Al tema degli UGC nel mondo vino ho dedicato un post che ti invito a leggere.
Detta così siamo tutti organic influencer. In realtà alcune precisazioni vanno fatte. Ma partiamo dal consumatore.
Il consumatore di oggi, soprattutto i più giovani, sono incredibilmente bravi (non ci vuole poi molto) a riconoscere un consiglio sincero da una pubblicità promossa da celebrità o big influencer. Ecco perché su di loro ha maggior presa l’opinione spontanea di un amico, di un conoscente o di una persona che gode della loro stima e che ha dimostrato, nel tempo, una competenza in un determinato settore.
Il meccanismo è il medesimo di quando chiediamo consigli specifici alle persone che conosciamo per risolvere problemi concreti. Io ho l’amico che disturbo quando devo acquistare tecnologia, e che non interpellerei mai per un consiglio vinicolo. Viceversa ho parecchi amici a cui chiederei consigli sul vino mentre decisamente meno a cui chiedere consigli musicali.
La rete, e i social, offrono a tutti noi la possibilità di identificare altre persone competenti (per professione o per semplice passione) in praticamente qualsiasi ambito.
Le competenze restano comunque alla base del tutto. Un influencer, a qualsiasi livello si posizioni, deve sapere di cosa parla e deve saperlo molto bene. Deve, in altre parole, essersi costruito una reputazione e aver guadagnato autorevolezza nel proprio settore.
Ovviamente un strategia attiva di marketing da parte di un’azienda del vino non può comprendere il coinvolgimento diretto degli organic influencer. E questo perché, paradossalmente, una volta che li coinvolgi e li paghi, non sarebbero più organici, ma diventerebbero veri e propri wine influencer (piccoli o grandi poco importa).
Ecco perché esiste ancora uno spazio molto ampio e ancora inesplorato per i micro e in nano wine influencer, capaci di unire l’aspetto comunicativo e commerciale del proprio rapporto con un brand a quello comunque sano, autentico e spontaneo del rapporto con la propria community.
Come si coinvolgono quindi gli organic influencer?
Non si coinvolgono. Non attivamente almeno.
Il percorso è più tradizionale. L’azienda del vino deve produrre qualità, sia nel prodotto sia nei contenuti, al fine di interessare, coinvolgere e fidelizzare i consumatori, così che questi, al di là della quantità di pubblico che possono raggiungere, condividano spontaneamente l’esperienza che hanno avuto del prodotto sui propri canali social.
La reputazione di un’azienda del vino la costruisce l’azienda stessa, attraverso le proprie azioni, il proprio tono, i propri contenuti e le proprie interazioni.
Nulla di tutto questo può essere demandato ad altri. Ecco perché le aziende solide e con visione strategica sono le sole in grado di far condividere alle persone i propri valori, e non viceversa.
Contraddizioni
L’autenticità è un concetto decisamente liquido. Un purista potrebbe affermare che una autenticità potrebbe esistere finché sussiste una totale libertà comunicativa, priva di qualsiasi accordo di natura commerciale.
Non appena si instaura una collaborazione nulla può più essere autentico, perché l’ombra del patto commerciale o di marketing, si inserisce nell’ideale e idilliaco quadretto comunicativo.
Ovviamente non è così.
La pubblicità non per forza è sporca e cattiva. Esiste, e si deve perseguire, una visione consapevole e non vergognosa delle dinamiche di marketing e di promozione del vino online da parte di wine influencer o di semplici appassionati senza scopo di lucro.
I percorsi, come abbiamo visto, sono molteplici, così come liquidi sono i confini tra le figure che compongono le possibili vie della comunicazione vitivinicola.
Un blogger oggi è un consulente domani, un professionista può diventare influencer, una persona comune (o molte persone comuni) può aiutare un’azienda ad emergere.
Se un’azienda del vino lavora bene, ragiona in ottica strategica, ha ben chiaro il posizionamento del proprio prodotto, i propri obiettivi, e pianifica azioni comunicative e di marketing coerenti e continuative, gli organic influencer arriveranno.
Magari già ci sono, solo non siamo ancora abituati a riconoscerli in quanto possibili attori nella nostra idea di strategia digitale.
Fonti: www.ninjamarketing.it – www.thedrum.com
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com
3 Responses
Ciao Marco, sempre ottimi spunti!
Solo una domanda, se io suggerisco a chi visita la cantina e assaggia i vini di postare le foto con hastag specifici della mia Azienda, e taggare anche il luogo in cui sono, può essere un esempio di organic influencer?
grazie!
Ciao Dario, diciamo che è un buon modo per innescare meccanismi organici di diffusione del marchio. Una volta si definivano UGC (tradotto: contenuti creati dagli utenti), e in effetti sono tra i più efficaci.
“In un mondo di John e di Paul meglio trovare un Ringo Starr” (parafrasando Cit.)