La maison di Champagne Lanson ha reso nota la sua intenzione di andarci piano con i social network. E se solitamente non mi faccio i fatti digitali dei francesi, questa volta due parole le voglio spendere, perché la prospettiva è a suo modo interessante e, oserei dire, esemplare.
Paul E. Beavis, U.K. and international managing director (ora puoi tirare il fiato) di Lanson, ha espressamente dichiarato alla CNBS che il digital marketing dovrebbe essere approcciato con cautela.
La sua posizione nasce anche dal fatto che in un passato non troppo lontano Facebook e YouTube hanno accusato alcuni problemi con le loro metriche e i loro algoritmi. Il primo falsava alcune statistiche, il secondo non distribuiva perfettamente i contenuti pubblicitari nei video caricati dalla community.
Al di là di questi aspetti statistici, indubbiamente gravi ma a mio avviso non fondanti o generalizzanti, Lanson sembra preoccuparsi anche di alcuni fattori decisamente più incisivi, come ad esempio la necessità di produrre contenuti indispensabili a una partecipazione intelligente e non autoreferenziale nei social, unita alla volontà di non concorrere all’aumento scomposto in rete di contenuti privi di valore.
Ecco le sue parole:
“You definitely have to have a message that’s on digital but I don’t think you want to have a vanity project where it’s all about the brand” – Paul E. Beavis
Riferendosi all’esigenza, per un brand, di possedere un contenuto originale e non autoreferenziale, possiamo desumere dalle parole di Beavis quanto sia importante comunicare nei social network solo a fronte di un progetto strategico chiaro e definito, fatto di obiettivi, pianificazione e misurazione delle azioni digitali.
Beavis, più o meno inconsciamente, si pone dunque la domanda fondamentale:
come riuscire a emergere, farsi notare, distinguersi e produrre valore nell’oceano di contenuti diffuso oggi nei social network?
Per approfondire un aspetto cardine di questo dubbio digitale, ti invito a leggere il mio post su cosa è un contenuto digitale di qualità per il mondo vino.
Parlando infine di pubblici, e in particolare riferendosi ai Millennials, Beavis sembra più flessibile e ottimista, dichiarando di comprendere perfettamente che questa tipologia di consumatori ha voglia di conoscere e di imparare, e poco importa se i contenuti ritenuti di qualità provengono dalla stampa o da mezzi digitali. E, aggiungo io, sappiamo tutti molto bene in che direzione stanno andando i contenuti in generale.
Ora qualche riflessione
Partiamo da una considerazione forse scontata.
Lanson è un brand già ben posizionato, con una sua storicità e con un prodotto fortemente caratterizzato, noto e riconoscibile, appartenente a una denominazione e a un territorio ricco di suggestioni capaci di andare oltre i confini di un semplice vino per contaminarsi con la moda, lo stile, la società e la cultura, da centinaia di anni.
Altro fattore in gioco il fatto che, come la maggior parte dei brand di lusso, Lanson ottiene ancor oggi i risultati migliori grazie alla stampa, alle sponsorizzazioni e agli eventi. Solo questi ultimi garantiscono a Lanson il 10% di tutte le vendite.
Gli eventi saranno sempre il fulcro di un prodotto come lo Champagne, identificato con il rito del brindisi e con i concetti di festa, di esclusività, di lusso.
Riprendendo invece il riferimento di Beavis ai Millennials, la mia personale opinione è che questo target comincia progressivamente a non essere più l’interlocutore ideale delle aziende vinicole, e quando arriverà il tempo della Generazione Z, anche una realtà come Lanson dovrà necessariamente evolvere o diventerà semplicemente anacronistica perché non sentita, non percepita, non vissuta da quel pubblico davvero giovane che il digitale lo porta già oggi inciso sotto pelle.
Cosa possiamo imparare dal caso Lanson
La morale è presto detta.
Lanson, nei social network, non può permettersi di improvvisare. Deve progettare, programmare e monitorare per non perdere il controllo della propria comunicazione digitale. E, cosa ancor più importante, deve sforzarsi di produrre contenuti originali.
Essere grandi non sempre è un vantaggio. Sì è certo più noti, più strutturati e tendenzialmente più “ricchi”, ma spesso si sacrifica una parte di quella preziosa libertà che permette agli audaci e ai pionieri di adattarsi ed evolvere con maggiore facilità.
Nonostante la dichiarata cautela, Lanson comunica nei social, e lo fa in maniera strutturata il Facebook, Instagram e Twitter, ma probabilmente per questi canali una scelta semplicemente non esiste. Serve esserci e partecipare così come molte aziende del vino frequentano tutti gli anni Vinitaly, pur lamentandosi della deriva identitaria e organizzativa della fiera vinicola più famosa d’Italia.
Torniamo con i piedi alla nostra terra
Il modello Lanson non è dunque rappresentativo della moltitudine di aziende vinicole sparse per il mondo, men che meno di una situazione frazionata come quella italiana, dove i piccoli produttori rappresentano la maggior parte del comparto vitivinicolo.
Con le dovute distinzioni, a livello di posizionamento della denominazione, non stiamo parlando di un timorasso biodinamico o di un nerello mascalese coltivato alle pendici dell’Etna.
E se la tendenza conservatrice e cauta di Lanson è a suo modo comprensibile e condivisibile, non credo che tu, vignaiolo indipendente o piccola e media azienda, possa permetterti di adottare il medesimo approccio.
E non è mia intenzione sindacare la qualità dei tuoi prodotti, dei tuoi contenuti o la tua personale capacità di comunicare e creare relazioni, quanto piuttosto il posizionamento del marchio in relazione al mercato, al paese e alla denominazione.
I piccoli hanno l’opportunità di sfruttare al massimo gli strumenti digitali a loro disposizione e alla loro portata. Il digitale è ancor oggi una terra parzialmente inesplorata e sconosciuta ai più e, credimi, non è fatta per i troppo cauti, bensì per gli innovatori, per gli sperimentatori.
Sempre, ovviamente, con chiarezza di intenti e di obiettivi, unita alla vecchia buona pianificazione strategica e al monitoraggio delle attività (repetita iuvant).
I grandi sperimentano sempre più spesso con una parte considerevole di ansia da prestazione. E questo perché tendenzialmente hanno più da perdere, a livello di immagine, rispetto a una piccola realtà che ancora sta cercando di ricavarsi un’identità e una collocazione nel mercato del vino.
Per fare un parallelismo vinicolo è come mettere a confronto i modelli produttivi, identitari e strategici di paesi come l’Italia e la Francia a quello degli Stati Uniti.
Da una parte la forte tradizione storica, sociale e culturale dei primi offre indubbi vantaggi identitari a fronte di qualche immobilismo di troppo, dall’altra, la giovane storia statunitense parte svantaggiata dal punto di vista della credibilità e della storicità, ma permette al comparto vinicolo di essere più libero, di sperimentare di più e con maggiore convinzione.
Il mio consiglio è dunque quello di tenere i piedi ben piantati nella tua preziosa e unica terra italiana ma di adottare una mentalità d’oltreoceano nella tua comunicazione digitale.
Fonti contenuto e immagine: cnbc.com – lansonchampagne.com
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