La logica che muove le scelte strutturali di molte piattaforme social è unicamente legata a obiettivi di business e di marketing.
Sembra una banalità, ma è meglio precisare che, nella maggioranza dei casi, nient’altro comanda le modifiche e gli aggiornamenti di funzionalità e algoritmi. E chiunque ti venda la favoletta che un qualche cambiamento è stato fatto nell’unico interesse di migliorare l’esperienza utente ti sta mentendo.
L’esperienza utente viene migliorata se e solo se la cosa è compatibile con la crescita e il successo della piattaforma stessa (altra banalità spesso dimenticata).
Ovviamente in alcuni casi il processo è realmente etico, e passa prima di tutto dallo studio della soddisfazione utente (utente soddisfatto = successo della piattaforma). Ma non nel caso che sto per raccontarti, e non quando iniziano a girare una montagna di soldi.
L’emblematico Instagram
Di questa dinamica, soprattutto in quest’ultimo anno, ne è evidente prova Instagram, una piattaforma che ora si fa bella mostrando il suo lato etico e “buonista”, mentre fino a poco fa (e in parte tuttora) ha permesso le peggio cose, nella piena consapevolezza che senza di quelle non sarebbe arrivata dove si trova oggi, in termini di popolarità, crescita e fidelizzazione.
Da qualche giorno si parla del già da tempo anticipato oscuramento del numero di like ai post altrui, voluto dalla piattaforma per renderla un posto migliore, meno ansioso e ansiogeno, nella volontà di spostare l’attenzione delle persone dalle vanity metrics verso la partecipazione e la produzione di contenuti di qualità.
Molto bello vero? Ma la gente ha la memoria corta e non si rende conto che la situazione ricorda metaforicamente una nazione che arma il proprio popolo, poi quando si rende conto che le armi sparano e fanno male, allora indossa il sorriso della pace e ritira le armi. E tutti ad applaudire.
Comunque. Dopo un primissimo test in Canada, il 17 luglio la modifica dei like invisibili ai post degli altri, e visibili solo sotto i propri post, è stato rilasciato in test per alcuni utenti anche in Italia, Irlanda, Giappone, Brasile, Australia e Nuova Zelanda.
Ecco quindi che un’azienda vinicola potrebbe non vedere più quanti Mi Piace ottiene l’immagine di un profilo per lei potenzialmente interessante o, per fare un esempio ancor più concreto, non vede i Mi Piace a quelle immagini che la riguardano o che hanno per oggetto il proprio vino, immagini magari commissionate a un wine influencer.
Si dichiara dunque guerra a quelle vanity metrics (like e follower) che hanno rappresentato fino a poco fa, e ancora rappresentano, l’anima più autentica di Instagram.
La questione, a mio avviso, puzza tanto di arma di distrazione di massa rispetto al problema reale, non ancora affrontato e risolto, dei bot, degli automatismi, e delle tecniche poco ortodosse per aumentare i propri follower in maniera non organica.
Pensi davvero che Instagram non possa, se davvero lo volesse, risolvere definitivamente il problema bot? Io no.
Instagram è un’azienda che ha te come prodotto. Se non fa qualcosa è perché al momento gli va ancora bene così, e perché è perfettamente consapevole del fatto che, ancor oggi, senza bot o senza sponsorizzazione, è praticamente impossibile crescere.
Senza contare che senza vedere il numero di like alle immagini degli altri diventa difficile valutare dall’esterno un dato come l’engagement, cosa che da un lato può addirittura favorire il diffondersi impunito di pratiche di interazione e partecipazione automatizzate.
Lo stato della reach organica
L’altro indizio che, alle piattaforme social, della felicità degli utenti poco importa, è lo stato attuale del coinvolgimento organico dei post, oggi ai minimi storici.
Allargando il panorama all’altro social network di Mark ricordo che, a fine 2011, con l’introduzione della timeline, la reach dei post in Facebook scese da un ideale 75% a un 16% circa. Oggi la reach organica di Facebook è 1,2%.
Se quindi all’inizio dell’avventura Facebook, su 100 collegamenti il tuo contenuto ne raggiungeva ben 75, oggi solo 1 persona su 100 vede il tuo post.
Su Instagram si sta meglio ma comunque non benissimo. Le stories, che sono il contenuto che forse coinvolge di più, non superano il 12% di reach organica nei casi migliori.
Questo il panorama oggettivo, senza contare che ben il 17% delle persone su Instagram sono bot.
L’engagement non è messo meglio
Ultimo dato riguarda l’engagement, anch’esso in inesorabile calo, soprattutto per la grandissima mole di contenuti presenti oggi in Instagram.
Se siamo in 5 in una stanza a parlare, è più facile ascoltare e interagire, se siamo in 1000 ti va bene se riesci a fare due parole con il tuo vicino. Chi è ricco poi, ha in mano il megafono.
Dati registrati da una ricerca Mobile Marketer, dimostrano che l’engagement medio dei post non sponsorizzati è 1,9%, mentre quello dei post sponsorizzati sale a 2,4%.
Vero poi che ci sono sostanziali differenze tra settori e, soprattutto, tra numero di follower.
Se un settore è di nicchia, è più facile generare engagement. Se parliamo di viaggi o di food, e anche di vino oserei ormai dire, il panorama è mostruosamente competitivo e in crescita.
Riguardo il rapporto con il numero di follower, il rapporto stilato da Mobile Marketer conferma che il coinvolgimento è inversamente proporzionale al numero di follower di un profilo Instagram.
Circa 3,6% per profili con almeno 10.000 follower, circa 8,8% per profili sotto i 5.000 follower. Ecco perché in tanti oggi puntano, o vorrebbero puntare, su micro e nano influencer del vino.
A parte dunque rari e individuali casi di persone o brand che sono riusciti nell’arduo compito di costruirsi una community attiva e proattiva nella partecipazione e nella vita del brand, oggi sui social devi metterci dei soldi (se non vuoi ricorrere ad automatismi s’intende).
Chiusura personale
Io non sono qui a godere immaginando l’imminente arrivo di una ventata di giustizia in grado di discriminare i buoni dai cattivi.
Dei giochini e dei test del team marketing di Zuckerberg non me ne frega nulla, se non nella misura in cui tutto questo potrà portare maggiore consapevolezza alle aziende del vino su cosa realmente è importante osservare in rete e nei social network.
Io sono tendenzialmente deluso da piattaforme che prendono in giro il proprio pubblico permettendo cose per poi condannarle, abbaiando minacce per poi vivere sulle crescite non organiche.
E sono molto più amareggiato dal fatto che le aziende per prime stiano qui a perdere il loro tempo inseguendo e scalpitando al cambio di funzionalità e algoritmi su piattaforme di altri, invece di concentrarsi e spendere il loro tempo immaginando futuro e strategie, e producendo contenuti per il proprio pubblico.
Chiudo questa mia personale visione con un invito alla riflessione. Una riflessione il più possibile onesta e critica di ciò che così tanto ci coinvolge.
Serve pensare, principalmente per due motivi:
- per non berci passivamente i messaggi che provengono da piattaforme che hanno come unico scopo quello di far soldi sulle nostre abitudini e sulle nostre azioni
- perché i social sono belli e utili nella misura in cui riesci a usarli per raggiungere i tuoi obiettivi
E tu? Che ne pensi?
Fonti: hdblog.it – ilpost.it
Alcuni dati statistici su reach ed engagement sono presi dalla presentazione di Alessandro Mininno avvenuta al Web Marketing Festival 2019 di Rimini, e intitolata “L’agonia del piano editoriale: social media e planning annuale”.
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com
2 Responses
Buongiorno, seguo da un po’ il suo interessante blog per farmi un’idea di come si sta evolvendo la comunicazione relativa al vino.
Per venire al punto di questo articolo, credo che questa manovra che rende invisibili i like sia un test più commerciale che di presunta etica del social in questione.
Con la scusa dell’etica si cerca di capire, testando su due mercati importanti ma non chiave, se l’eliminazione dei like potrà contribuire a una diminuzione dello stanziamento di risorse delle aziende verso i cosiddetti influencer (o presunti tali) a favore di un aumento del budget diretto alla sponsorizzazione dei post direttamente sulla piattaforma.
In fondo, ogni centesimo diretto a terzi porta a una diminuzione di quanto disponibile per Instagram.
Sarebbe da approfondire come e che parametri ci daranno le piattaforme di analisi delle performance dei profili.
Cordialmente
Gentile Umberto grazie del commento. La sua è una riflessione estremamente interessante e condivisibile. Sono d’accordo sul fatto che i social non sono qui per farci star meglio e basta. Sono aziende, non onlus.