Breve cronistoria di un’etichetta sfortunata, che all’inizio parecchi si sono appuntati ma che adesso nessuno sembra volere più.
Il termine generico “influencer” compare in Italia per la prima volta nel 2007, quando Carlo Formenti, in una rubrica sulla sezione Economia del Corriere della sera, accosta gli influencer agli opinion maker.
Di influencer nel mondo, e in altri settori (moda, musica, gaming, sport), si parlava già da tempo, e il tema iniziava a riscuotere un certo successo mediatico.
Passano alcuni anni, il titolo si consolida ed entra gradualmente nell’uso quotidiano, fino a quando approda anche nel mondo del vino.
In rete, in Italia, si comincia a parlare di wine influencer a inizio 2017, l’anno che possiamo definire spartiacque per questa etichetta, anno in cui il termine generico influencer vive il suo momento di massimo splendore.
Il portale francese Social Vignerons inizia nel 2016 a stilare la sua personale classifica dei personaggi più influenti nel mondo del vino a livello internazionale e, proprio nel 2017, inserisce in classifica i primi italiani.
I primi italiani a essere definiti wine influencer dal portale francese sono il giornalista e blogger Andrea Gori e la produttrice Marilena Barbera, figure già quindi facenti parte, a differenti livelli e con diversi ruoli, dell’ecosistema enologico.
All’inizio la definizione poteva dunque avere una speranza di senso, identificando persone davvero in grado di possedere una diffusa, concreta e positiva influenza presso un determinato pubblico.
Era dunque la fine del 2016 / inizio del 2017 quando i primi a definirsi, o a essere definiti da altri, “wine influencer” hanno mosso i loro primi passi digitali sui social media, in particolare su Instagram.
Cito Instagram perché wine influencer in Italia ha sempre e solo significato presenza e seguito su questa piattaforma. Mai visti profili indicati come influencer del vino per il seguito in Facebook o in Twitter (fattore incomprensibile e indicativo del fenomeno, se ci pensi).
Ricordo bene le bio Instagram di parecchi profili italiani, quando esporre la nuova e gloriosa etichetta era motivo di vanto e di un possibile futuro professionale.
In quegli anni, su siti italiani, era tutto un proliferare di classifiche sui migliori influencer del vino. Classifiche stilate senza testa, senza criterio, senza un barlume di intelligenza e spirito critico, tanto per fare rumore e, purtroppo, creando una gran confusione.
Dal 2017 alla fine del 2019 circa, le cose sono cambiate parecchio, complice lo smascheramento di magagne digitali, soprattutto in Instagram, di cui io stesso ho scritto più volte su questo stesso blog.
Una lenta e progressiva disfatta
Piano piano l’etichetta è diventata scomoda, foriera di suggestioni più negative che positive, criticata, spesso a ragione, a volte a torto, tanto che le bio Instagram sono state aggiornate e gli wine influencer di ieri sono diventati i comunicatori, gli informatori, i consulenti, i blogger, di oggi.
Chi, occupandosi di tutt’altro in quanto blogger, giornalista o altro, si era visto appioppare quell’etichetta, ha subito cercato di distanziarsi da essa, difendendo la propria identità altra e prendendo le distanze da approcci incompatibili con la propria figura professionale.
Chi, invece, si era auto appuntato il titolo di wine influencer in cerca di un’identità immediata ha, gradualmente e con meno clamore, ridefinito la propria immagine in altre direzioni, cercando di evocare suggestioni più sane, dopo aver osservato la brutta aria che tirava.
Alcuni profili partiti come influencer del vino oggi si occupano d’altro, si sono costruiti una reputazione e un’identità più precise e specifiche, si sono definiti come professionisti o hanno avviato aziende. Nonostante questo ancor oggi alcuni portali o blog, forse per comodità o per semplice visibilità, continuano a chiamarli wine influencer.
Oggi non credo esista quasi più nessun profilo, degno di nota, che riporti in bio Instagram la scritta “wine influencer” o “influencer del vino”, ennesimo segnale che la curva discendente del successo del termine che ho osservato in questi anni è stata netta e inesorabile.
Un sondaggio che lascia il tempo che trova
Giusto per capirci meglio, e per rafforzare le mie convinzioni con ulteriori dati, qualche giorno fa ho proposto un sondaggio sul tema in Instagram.
Al di là delle poche persone non miei follower che posso aver raggiunto grazie all’uso degli hashtag, devo prima di tutto premettere la composizione del mio piccolo seguito di poco più di 2.300 persone.
- il 75% dei miei follower proviene dall’Italia
- il 57.6% sono uomini, il 41.2% donne, 1.2% not defined
- le fasce d’età più rappresentate sono: dai 25 ai 34 anni e dai 35 ai 44 anni
Al di là della statistica pura, so che i miei follower sono per buona parte produttori / consorzi, un’altra fetta importante è rappresentata da colleghi, giornalisti, comunicatori, sommelier, poi tanti appassionati e via via fino ad altri professionisti, enti, enoteche, amici, varie ed eventuali.
Detto questo, la domanda espressa nella stories era la seguente.
Per te, il termine “wine influencer” evoca di più suggestioni positive o negative?
Il responso è stato piuttosto netto: 75% negative – 25% positive.
In 100 esatti hanno risposto: 25 positive – 75 negative
Analizzando con più attenzione i profili dei 100 rispondenti, ho notato che:
- i produttori di vino / cantine hanno praticamente tutti espresso parere negativo
- anche gli operatori del settore vino, non produttori, hanno risposto quasi in massa di avvertire suggestioni negative
- chi ha espresso pareri positivi è un pubblico eterogeneo formato da altri professionisti, giovani utenti forse meno scandalizzati dalla definizione, persone che poco hanno a che fare con il mondo del vino
R.I.P.
Le definizioni, le etichette, i titoli, sono parole, e le parole sono idee, evocano emozioni, suggeriscono concetti. L’etichetta “wine influencer” è nata sotto una cattiva stella e, almeno allo stato attuale, nessuno può risollevarne le sorti.
Scrivo questo perché so di cosa parlo. Mi occupo di marketing ricordi? Quella cosa sporca e cattiva fatta per spillare soldi ai vecchietti, truffare gli ingenui con prodotti scadenti e convincere le persone ad acquistare cose di cui non hanno bisogno (ok forse questa parte è vera).
La mia proposta sulla definizione “wine influencer”?
Dimentichiamocene, è andata così. Lasciamocela alle spalle e guardiamo avanti.
Cerchiamo piuttosto di capire le persone, chi sono e cosa fanno, e solo dopo, se proprio ne avvertiamo la necessità, etichettiamole, ma sarebbe meglio evitare anche questa fastidiosa abitudine.
Fonti: Vera Gheno – Ma l’influencer potrebbe essere un influenzatore? p.86 accademiadellacrusca.it | socialvignerons.com
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com
One Response
Ciao!
Come sai Ho repostato la tua storia, ho più di 10k followers, veri e seguo solo cantine, enoteche , insomma la nicchia del vino,
i messaggi privati in risposta alla tua storia, che ho ricevuto (55) dicono 95% negativo, 5% positivo, food for thought