Ogni anno la Silicon Valley Bank pubblica un esaustivo rapporto sullo stato dell’industria vitivinicola statunitense.
Il rapporto ha il doppio intento di fotografare le tendenze attuali e, analizzando e osservando ciò che è successo, prospettare nuovi possibili sviluppi dai punti di vista commerciale e marketing.
Mai come quest’anno, il sunto che ne deriva evidenzia un reale problema con i consumatori.
I baby boomer stanno infatti definitivamente passando il testimone di consumatori principali ai millennial, che però non sembrano essere né molto pronti né particolarmente interessati ad acquistare vino.
Il panorama del rapporto è quello statunitense, certamente diverso dal nostro. Sono comunque sicuro che troverai spunti utili anche per la tua realtà vitivinicola.
Anche perché, in questo mondo reso globale dagli sviluppi tecnologi e sociali, un giovane consumatore italiano non è poi tanto diverso dal suo corrispettivo oltreoceanico.
In questo post mi concentrerò unicamente sugli aspetti sociologici, sociali e comunicativi del rapporto, nell’intendo di aiutare a fare chiarezza su chi sono i consumatori di vino oggi e su cosa desidero.
A fine post trovi comunque il link al rapporto completo.
In bilico tra vecchi e nuovi consumatori
Il vino oggi si vende ancora molto ai cosiddetti baby boomer (persone tra i 55 e i 73 anni circa), che hanno il maggior potere di acquisto ma stanno diminuendo i consumi perché si avvicinano all’età pensionabile.
Il vino si vende anche ai millennial (tra i 23 e i 38 anni circa), ma meno rispetto ai baby boomer, un po’ perché i più giovani consumano in generale meno alcolici, un po’ perché non scelgono solo vino ma anche distillati, birre e cocktail.
Nei prossimi sei anni, 27.9 milioni di americani raggiungeranno l’età pensionabile di circa 66 anni, mentre 30.3 milioni compiranno 40 anni.
Come evidenzia il rapporto, i millennial restano comunque la più grande opportunità dell’industria vitivinicola statunitense, quindi ci impongono una qualche riflessione e, si spera, una qualche azione strategica.
Come vanno le cose negli USA
Rob McMillan, fondatore della Wine Division della Silicon Valley Bank, e redattore del rapporto, non ha dubbi: l’industria del vino si trova nel pieno di una fase di calo dei volumi pro capite.
Questa nuova generazione di consumatori non è però così attratta dal mondo del vino come si sperava e, certamente, non tanto quanto i baby boomer.
Oggi, solo il 15% dei bevitori consuma esclusivamente vino. Ecco qui, ben mostrata, la suddivisione del consumo di alcolici nella popolazione statunitense.
Per i consumatori più giovani, il vino è dunque solo una delle opzioni possibili, non la predominante, non la migliore.
E, mentre il 30% dei millennial statunitensi ha comunque aumentato il consumo di vino nel 2019, il 21% di loro beve di meno.
Inoltre, il rapporto sulla Wine Industry statunitense ci mostra anche che il 33% dei millennial spende in beni di lusso ma che il vino non è considerato uno di questi. Solo la metà infatti, il 17% circa, spende per bottiglie di vino di fascia premium.
Un ultimo dato interessante, prima di cercare di trarre alcune conclusioni da questo marasma, è che i messaggi che hanno presa su questo pubblico hanno comunque a che fare con la salute, il benessere, la sostenibilità, la trasparenza e l’etica.
Calo nei consumi, flessione nella spesa su bottiglie di pregio e diversificazione nella tipologia di consumo, ci impongono alcune riflessioni circa le abitudini e le esigenze degli attuali consumatori di vino.
Cosa vogliono i millennial
Da ciò che leggiamo sopra, e da come possiamo interpretare un panorama di consumo statunitense con l’intento di riconoscerne alcune somiglianze con il consumatore italiano, possiamo azzardare le seguenti ipotesi circa l’identikit generale del consumatore millennial:
- spende meno in vino
- consuma meno vino
- consuma anche altri alcolici oltre il vino
- è sensibile ai temi della salute e della sostenibilità
Sono dunque cambiate le abitudini, le preferenze e i valori stessi dei consumatori, e l’industria del vino sembra non essersene ancora accorta in pieno, intenta ancor oggi a replicare modelli comunicativi e commerciali che andavano bene per le generazioni precedenti.
Non puoi parlare di vino ai 30enni così come ne parli ai 60enni, anche perché mentre i secondi ancora bevono, i primi soprattutto degustano.
Senza contare che mentre la dieta mediterranea anni ’90 comprendeva sempre anche un bicchiere di vino, le nuove tendenze salutiste di oggi arrivano a escludere completamente il consumo di alcolici.
Ecco perché i messaggi che funzionano sono quelli che associano il vino alla salute, alla qualità, alla sostenibilità.
Le aziende del vino devono necessariamente rapportarsi a questi cambiamenti, e in molti dovranno reinventare radicalmente il proprio modo di vendere, commercializzare, comunicare e promuovere il proprio vino.
Dagli Stati Uniti giungono richieste di semplificazione dei concetti, del gergo, dei messaggi, per arrivare all’immediatezza comunicativa propria della birra e degli spiriti.
Non credo sia un modello pedissequamente applicabile al panorama italiano, certamente più consapevole per quanto riguarda il consumo di vino rispetto ai parenti d’oltreoceano.
In tutto questo, il digital e le nuove tecnologie offrono un grande aiuto ai produttori più smart e, mentre allontanano oggettivamente i millennial dalla sala degustazione e dalle visite in cantina, offrono l’indubbio vantaggio di raggiungere i consumatori più giovani ovunque essi si trovino.
La risposta sta quindi forse nel doppio sforzo di avvicinarsi, comprendere e finalmente applicare le nuove tecnologie digitali e, al tempo stesso, di tentare una ricalibrazione dei propri messaggi e contenuti in relazione ai nuovi valori e alle nuove esigenze dei consumatori di oggi.
E tu? Conosci le differenze tra il tuo consumatore storico e i nuovi appassionati di vino?
Fonti: svb.com – fortune.com
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
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