Questo 2020 è iniziato sull’onda di un rinnovato desiderio di riflessione.
Riflessione sui trend, sui canali, più in generale sulle persone che affollano la rete, sulle loro abitudini, sui loro comportamenti, sui loro desideri.
Il 2019 mi è parso un anno piuttosto statico a livello digitale macro. Sì ci sono state novità, quelle ci sono sempre, ma non così rilevanti da configurarsi come vere e proprie tendenze in grado di incidere sul mercato del vino.
Se leggo e confronto le previsioni dei trend digital per il 2020 non mi sembrano poi tanto differenti da quelle uscite a suo tempo per il 2019.
Da qui ho iniziato a pormi una serie di domande, che più che domande sono veri e propri dubbi.
I social network sono sovrapopolati di utenti e di contenuti (non sto a ripetere concetti già mille volte espressi), contenuti molto spesso inutili, banali, ripetitivi, irrilevanti, fatti giusto perché alla portata di tutti, disponibili.
La sensazione è quella di entrare in una stanza disordinata e stracolma di oggetti per cercare di recuperare le chiavi dell’auto abbandonate chissà dove il giorno prima.
In questo contesto sociale e digitale, facciamo tutti troppo spesso l’errore di erigere i social media a unico canale di discussione, di riflessione, di approfondimento, dimenticandoci in questo modo che il digitale è molto altro, per fortuna mia a tua.
Ecco perché non voglio cadere nel tranello, su questo blog e con i miei clienti, di favorire ciecamente il tramandarsi della leggenda “digitale = social media”.
Non voglio nemmeno rischiare la distrazione strategica favorita dal continuo susseguirsi di novità poco rilevanti. Mi spiego meglio.
Lotto da anni contro la distrazione aziendale. Sommersi dal frenetico rinnovarsi di canali e piattaforme, gli imprenditori del vino (e non solo) tendono a perdere di vista i propri obiettivi e le priorità strategiche necessarie al raggiungimento degli stessi.
Certo è anche vero che spesso basta una semplice domanda (perché?) per far comprendere quanto errata è la prospettiva che li muove. Di fronte ai vari “voglio fare più stories”, “voglio provare TikTok”, “voglio invitare qualche wine influencer”, etc, un semplice “perché” è l’unico modo di innescare il necessario ragionamento strategico.
Non è magari carino, è parzialmente rischioso, ma sortisce l’effetto desiderato, anche considerando il fatto che gli imprenditori e i titolari in primis sanno che le risposte non possono essere “perché è di moda” o “perché lo fanno tutti”.
Tornando alla nostra disquisizione su cosa è il digitale, la domanda chiave diventa quindi la seguente.
Un/una vignaiolo/a o un’azienda vinicola, che strumenti e canali digitali possiedono oggi per comunicare il proprio vino? Ne elenco alcuni in ordine sparso:
- content marketing (su sito, su blog, sui social)
- email marketing (per mezzo di newsletter o DEM)
- SEO (ottimizzazione per i motori di ricerca)
- SEM (campagne marketing tramite strumenti come Google Adwords)
- marketing locale o di prossimità (tramite Google My Business o sviluppo di app)
- influencer marketing
- pubbliche relazioni online
- e-commerce marketing (con portali proprietari o terzi)
- social media marketing (in ultimo solo per non distrarti dai punti precedenti)
E ve ne saranno certamente altri che ora mi sfuggono.
Un’azienda può quindi scegliere. Ne ha facoltà, interesse, dovere. Non tutti i canali e gli strumenti saranno idonei al raggiungimento dei suoi obiettivi, quindi deve valutare, approfondire, ponderare, farsi i conti in tasca e selezionare, scrollandosi definitivamente di dosso il senso di frustrazione derivante dal “faccio troppo poco” o “dovrei fare anche quello”.
Ogni azienda fa in base alle proprie possibilità, mezzi, obiettivi e budget.
Il digitale oggi è parte del nostro essere e del nostro agire.
Solo una storia possibile
È una persona che chiede a un amico più esperto un consiglio su quale vino portare a una cena. Gli manda un messaggio in WhatsApp o in Messenger, raccoglie i nomi di alcune cantine e poi inizia a cercarle in rete per capire meglio che vini sono e che prezzo hanno. Cerca quindi di scoprire, sul sito delle aziende o usando Google Maps, se ci sono delle enoteche nella sua zona che vendono quei vini. Quelli che non trova sul territorio scopre magari che sono venduti su un e-commerce. Il prezzo di quello più interessante è buono, le condizioni anche, la cena è tra una settimana e la consegna garantita in 2/3 giorni lavorativi. Mentre aspetta la sua spedizione, per non fare la figura dell’ambasciator che non porta altro che il vino, prova a imparare due nozioni sull’azienda, sul vitigno e sul territorio. Cerca sui social e inizia a seguire l’azienda su Facebook o su Instagram, magari legge qualche post dal blog della cantina, acquisendo così le informazioni utili a comprenderne approccio e filosofia. Porta il vino a cena, lo racconta e piace a lui e agli altri commensali. Un mese dopo scopre che non lontano da dove abita ci sarà una piccola ma interessante fiera vinicola, chiama il suo amico e insieme vanno a fare un giro. Lì incontra proprio i titolari dell’azienda che aveva colpito lui e gli altri partecipanti a quella famosa cena. Si conoscono, si scambiano i contatti diretti, magari il nostro amico si iscrive anche alla newsletter aziendale. Da questo momento in poi le occasioni di contatto digitale (e non solo) sono varie e innumerevoli.
Torniamo a noi
Ecco che quello che per un marketer è un processo da programmare, gestire e analizzare, per un utente è un’esperienza unica, fluida, impercettibile.
Il percorso si sarebbe interrotto, o avrebbe subito una brusca variazione, se il nostro neofita avesse trovato informazioni non coerenti su un’azienda, o se addirittura non avesse trovato nulla. Avrebbe quindi magari acquistato un altro vino, di un altro produttore, avrebbe insultato l’amico enofighetto e scelto una birra artigianale. Chi può saperlo?
L’utente vuole delle cose, siano esse prodotti, servizi, esperienze o semplici gratificazioni, e si muove per ottenerle. Sta all’azienda conoscere i suoi possibili percorsi ed essere presente dove e quando serve.
Quello descritto poco sopra è dunque solo uno degli innumerevoli esempi di esperienza che un utente può fare usando il digitale e i device che ne permettono l’utilizzo.
Un’azienda deve conoscere questi processi, deve prendere confidenza con i concetti di customer journey e di customer experience. E deve capire che serve partire da ciò che è necessario e farlo bene, e che il digitale non si esaurisce in Facebook o in Instagram.
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
Nel caso in cui necessitassi di ulteriori approfondimenti o desiderassi contattarmi per una consulenza, puoi farlo tramite la chat Messenger o scrivendo a andreamarc79@gmail.com