Una storia ce l’hai, ce l’abbiamo tutti. Tutto sta a saperla tirare fuori nei momenti e sui canali giusti, nella maniera corretta.
Ho già trattato in un precedente post lo splendido, e a volte male interpretato, rapporto tra vino e storytelling.
Qui oggi voglio concentrarmi su alcuni errori che vengono ancora troppe volti commessi dalle aziende del vino.
Cantine e vignaioli tendono a tenersi per sé le storie migliori, oppure a non valorizzarle perché non sanno tradurle e trasporle in maniera corretta sui propri canali digitali.
La narrazione tra mondo fisico e mondo digitale
Ho già ripetuto fino allo sfinimento che la distinzione fisico / digitale, così come quella online / offline, non ha più senso di esistere in questo 2019 che sta volgendo al termine.
Detto questo, per la parte narrativa, per l’elemento emotivo ed emozionale, per lo storytelling del vino, questa distinzione è ancora molto netta, e le fiere del vino ne sono la prova.
Tra fiere nazionali, incontri, visite, degustazioni e quant’altro, mi è capitato spesso di trovarmi faccia a faccia con i produttori, osservando i loro gesti, cogliendo la loro disponibilità, ascoltando le loro parole.
Spesso mi sono trovato ad ascoltare storie bellissime di vita, natura, territorio, filosofia, valori.
Storie offerte come accompagnamento al vino che stavo assaggiando, come unico e migliore abbinamento possibile a ciò che avevo nel bicchiere. Storie rodate, vissute, ripetute, ma sempre nuove anche per chi le raccontava, ancora e ancora, senza stancarsi.
Poi ringrazi, saluti, passi al prossimo assaggio e ti rendi conto che per te si è conclusa una conversazione che non ha traduzione o sbocco da altre parti se non lì, in quel preciso momento e contesto.
Nulla di tutto quello che ho ascoltato ha una degna ricaduta sui canali di comunicazione dell’azienda.
Sui siti web e sui social della cantina la comunicazione è piatta, uniforme, allineata a quella di molte altre realtà vinicole, non vi si riconosce nemmeno il profumo di quella magia che hai avuto modo di assaporare dal prezioso ed estemporaneo confronto personale.
Un dialogo interrotto da banali errori di metodo
La difficoltà di trasposizione della tua narrazione da te stesso ai canali social, e alla rete in generale, sta proprio nel fatto che il digitale è fatto di ambienti e interlocutori anche molto diversi da te e che parlano linguaggi anche molto distanti dal tuo.
A meno che tu non sia un esperto in comunicazione, marketing e copywriting, è praticamente impossibile conoscerli e padroneggiarli tutti, così come non è saggio spalmare la stessa comunicazione, con lo stesso tono di voce, sui più disparati canali.
Ecco dunque gli errori più comuni che compiono le aziende del vino nel loro storytelling digitale:
- affidano la parte contenutistica ad attori esterni senza aver prima trasmesso loro i propri valori e il proprio tono di voce (in ogni caso esternalizzare questa parte non è mai la strategia migliore, per quanto brava e preparata possa essere l’agenzia esterna o il consulente di turno)
- conoscono il proprio linguaggio ma non quello del proprio pubblico
- conoscono il proprio ambiente ma non quello che caratterizza altri canali di comunicazione
- spalmano una comunicazione identica su differenti canali
- sottovalutano il problema perdendo un’importante occasione
La multicanalità non è più da tempo un concetto misterioso e impalpabile.
Quando scegliamo la meta di un viaggio vogliamo annusare l’atmosfera magica di quei giorni già dalle immagini e dalle descrizioni di un sito web, dalle suggestioni presenti sui social network ufficiali.
Ma il mondo del vino non è ancora purtroppo evoluto tanto quanto quello del travel (o anche del solo food) per quanto riguarda la consapevolezza digitale, così che spesso tutto questo non si trova.
E mi capita ancora oggi di vedere i tag di Instagram replicati erroneamente anche nel post Facebook, solo perché non si è voluto fare lo sforzo di produrre due contenuti dedicati per ciascun social (per fare un esempio stupido).
Concludendo
Il consumatore che ha quindi la fortuna di fare un percorso di avvicinamento a una cantina dalla parte “giusta”, può sin da subito godere di quel vantaggio di narrazione che può smuovere curiosità e portafogli. Chi invece ha la sfortuna di approdare su un freddo canale digitale, può trovarsi ad osservare e ascoltare la brutta copia di una storia che già ha mille volte sentito.
Perché non si è ancora compreso che fare storytelling non significa raccontare quello che raccontano tutti gli altri infiocchettando il messaggio con qualche maldestro afflato poetico.
Significa raccontare se stessi e il proprio prodotto, le uniche cose che tutti gli altri non hanno.
Chiudo con una nota di colore. Melvyn Minnaar, giornalista sudafricano, riporta un bell’esempio sull’importanza dello storytelling nel vino, nel suo ultimo post sul magazine online Winemag.co.za.
Melvyn racconta come anche nelle apparentemente fredde logiche delle aste del vino sia importante l’elemento rappresentato dallo storytelling.
Al di là della tipologia di vino, della cantina, dell’annata, entrano in campo concetti quali la provenienza, la storia della singola bottiglia, la conservazione, i precedenti proprietari. Insomma una sorta di narrazione del pedigree e della vita della bottiglia che ne aumenta fascino e appetibilità commerciali.
La prossima volta che racconterai la tua storia a qualcuno guardandolo negli occhi, domandati quindi se puoi trasferire anche solo una parte di questo dialogo in rete. E se puoi, fallo.
Fonte: winemag.co.za
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
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